Il pensiero della moda
rp
“È un ragazzaccio, vestito male, fa la moda con un’andatura storta, che piace alla sua indole infelice, o forse è sotto l’effetto di qualche droga sintetica”.
Dall’alta società ai territori sottoculturali la moda è ovunque.
Moda, mossa, moda. Anche il pesce fa la moda con la coda, poi c’è il sarto, la signora che porta l’abito nuovo, la politica del momento. La moda sei tu hic et nunc.
Non segui la moda? fai moda. La segui? sei alla moda. Fuori dalla moda sono solo i defunti. La moda ricorre, ma non si riproduce sulla stessa storia; si attua e si scrive nel libro irreversibile dell’entropia: non può essere la stessa, né sosia di se stessa. Sintassi-paradigmi-linguaggi, azioni coerenti o dislettiche, finzioni subliminali, sintesi dell’intuizione, espressioni dell’inconscio, del voluto, o dell’inevitabile, la moda è cultura dell’indeterminato, che si fa verbo e prassi, per definire l’equilibrio appena possibile di attimi di esistenza, nei quali conformismo e anticonformismo si contrappongono, oppure se la intendono.
Non si può scrivere di moda senza coinvolgere elementi di filosofia, psicologia, salute, arte, sport, geografia, storia, sociologia, prossemica, umanità.
Moda? che argomento frivolo!
È certamente così. “Le parole svuotate del loro significato non sarebbero altro che suoni inutili” insegna il Manzoni. È quindi possibile attuare sugli strumenti di comunicazione (moda inclusa) il percorso inverso a quello che ha loro attribuito valore antropologico. Estrapolarne una forma estetico-percettiva quasi priva di modalità, quindi frivola, ipersoggettiva, isterica, qualcosa, alla fine, che appare imprendibile e indefinibile… e quindi maledettamente affascinante.
Senza contare, che, pur volendo annegare nel “frivolo”, alla mente emergeranno metafore, rimandi di significato a catena, frivoli linguaggi, nondimeno passibili di essere indagati da chiavi di lettura profonde.
Si pensa che Eraclito abbia potuto affermare l’ineluttabilità del cambiamento continuo, anche notando la stagnazione delle acque, quiete che vira in fermentazione. Così, per quanto riguarda la società, il perdurare dell’immobilismo, stàsis (da cui il termine sedizione), non può che comportarne la krìsis.
“Il minimalismo, quando ben fatto è fenomenale” ha risposto con fair play Àgatha Ruiz de la Prada, a chi le chiedeva cosa pensasse in merito, sottolineando quanto non sia facile estrarre dalla molteplicità di tutte le forme un taglio essenziale ed elegante, e in grado di farsi notare nonostante il sacrificio dei colori.
Ma è forse più facile affermarsi stabilmente sul podio internazionale della haute couture – viene allora spontaneo chiedersi – lasciando esplodere la propria creatività, come invece fa lei, Àgatha, in un tripudio di colori sgargianti audacemente accostati, nonché volumetrie improponibili dal punto di vista pratico?
Se la retorica che sottende al minimalismo è quella dell’understatement, la filosofia che sposa il colore acceso afferma la personalità, quella che esige di esprimersi senza inibizioni, ed è capace di farlo, tanto da metterne in atto il processo nel modo più evidente. Ben altra disinibizione, però, rispetto a quella della donna che indossa con nonchalance solo veli sottilissimi: il corpo delle modelle di Àgatha Ruiz de la Prada viene custodito in involucri importanti ed eloquenti, attraverso solide e coloratissime architetture da indossare assieme al monito noli me tangere.
Moda è contrario di stasi. Ma non basta. La moda deve celebrare il movimento e richiamare il mondo, i suoi oggetti, le sue creature, i manufatti, attraverso il taglio e il colore, deve anticipare le aspettative latenti del pubblico, sbaragliando le resistenze conservatrici che sempre si oppongono al cambiamento in qualsivoglia attualità.
Fantasie fruscianti di colori accesi, che evocano iberici mistilinguismi, associati a moderni contrasti di optical geometrico per corrispondere a quell’inesauribile voglia femminile di esibirsi, ponendo costantemente in crisi chi pretendesse di guardare, convinto di poter prima o poi riuscire a raggiungere qualche certezza, in luogo di limitarsi ad ammirare, accettando con rara intelligenza il fascino prorompente di muliebri e contraddittorie sinestesie, celebrano il pieno successo di Àgatha Ruiz de la Prada.
I mestieri della moda
Entrare l’8 marzo nel Salone del ballo del museo Correr di Piazza San Marco, accolti sulla destra dalle due mirabili sculture del Canova, e trovarsi di fronte trentun simulacri di dame nella metaforica attesa di ormai improbabili gentiluomini in grado di farle volteggiare nella danza, nel rispetto della distanza imposta dai volumi e dalle estensioni dei loro abiti, realizzati da una stilista donna, ha posto in evidenza senza residuo le valenze che contraddistinguono quanto vi è di nobile nell’indole femminile.
A rendere possibile questa opera d’arte, installazione, forse ancor più che esposizione (che si potrà ammirare fino al 5 maggio 2013), la Fondazione Musei Civici di Venezia, e l’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia.
La mostra, a cura di Àgatha Ruiz de la Prada, si realizza nell’ambito della più ampia iniziativa DoVe – Donne a Venezia – Creatività, economia e felicità promossa dall’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia, in occasione della Festa della Donna 2013.
La manifestazione vede il coinvolgimento delle principali realtà culturali veneziane – tra cui anche la Fondazione Musei Civici di Venezia – impegnate in una riflessione collettiva sul ruolo femminile nella società e prevede, dal 7 al 10 marzo 2013, un denso programma di iniziative, tra convegni, spettacoli, rassegne cinematografiche, mostre, letture e recital.
Nello scenario stile Impero del Salone del Ballo del Museo Correr in Piazza San Marco, progettato da Lorenzo Santi a partire dal 1822 e decorato da Giuseppe Borsato tra il 1837 e il 1838, Àgatha Ruiz de la Prada propone i modelli della collezione “Primavera-Estate 2013” presentati durante la sfilata retrospettiva della scorsa edizione della Mercedes Benz Fashion week di Madrid ed esposti per l’occasione su manichini dorati.
Si tratta di trentuno abiti che reinterpretano le icone care ad Àgatha – dall’abito “gabbia” a quello “ombrello”, da “cuore” a “stella” – che l’hanno accompagnata durante 31 anni di carriera.
Abiti che animano una fantasiosa e colorata festa danzante, in cui protagoniste sono le forme, le cromie e il genio di questa artista, che coniuga in modo del tutto originale glamour, fashion e design d’avanguardia.
Altre mostre della stilista madrilena si possono ammirare anche a Tokyo, Pechino, Milano, Barcellona, e New York.