La sfida metafisica
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E’ verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in parole:/
se il linguaggio dei filosofi non basta,/
la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l’inaudito idioma necessario,/
e i vocabolari e la grammatica di questa lingua./
J.L. Borges, La Biblioteca di Babele.
Se con Platone si forma il percorso razionale per offrire una risposta al senso di finitudine e imperfezione della natura umana, usufruendo della sua facoltà dell’ideazione, ovvero il percorso delle Idee, la Metafisica, quando indagata dal pensiero, sembra invece paradossalmente destinata o a presentarsi come alternativa assoluta e inconciliabile con la realtà contingente, oppure a rendere tale realtà totalmente dipendente da fattori idealistici.
L’arte sembra offrirle una inaspettata possibilità di uscire da questo scacco in cui l’ha posta il pensiero razionale, grazie a un percorso delle Idee che muove dall’intuizione dell’artista anziché dalla logica. Non potrebbe d’altronde essere altrimenti: dato che il lògos è parte integrante del percorso della Metafisica, per il postulato scientifico-razionale, il quale esclude che un soggetto possa avere come oggetto della propria analisi se stesso, è eliminata a priori la possibilità da parte della Logica (vale a dire il pensiero razionale) di analizzarla, pena l’aporia.
Nel saggio Il metafisico nell’uomo ¹ Merleau-Ponty non vuole risuscitare né la metafisica tradizionale né quella kantiana, quest’ultima intesa come sistema di principi usati dalla ragione per costituire la scienza e l’universo morale. Egli intende ricondurre i problemi che appartenevano alla metafisica nell’ambito delle scienze dell’uomo. “Le scienze dell’uomo, nel loro orientamento presente, sono metafisiche, o transnaturali, nel senso che ci fanno riscoprire, con la struttura e la comprensione delle strutture, una dimensione d’essere e un tipo di conoscenza che l’uomo dimentica nell’atteggiamento che gli è naturale.” ² Per scienze dell’uomo Merleau-Ponty intende soprattutto la psicologia, la sociologia, la storia, la linguistica, per quanto egli colleghi continuamente tali scienze con la fisiologia e la biologia, e creda che anche le scienze della natura, non nei loro metodi prettamente scientifici, ma nel loro inserirsi nella continuità storica, siano tali da condurre a operazioni umane e, in particolare, alle operazioni che l’uomo esercita sulla natura.
Merleau-Ponty pensa che queste scienze siano “metafisiche” in quanto costringono a scoprire una dimensione che l’uomo è naturalmente portato a dimenticare. Ma quale dimensione del suo esistere l’uomo normalmente dimentica? La risposta ci invita a non considerare “naturale” e ovvio il mondo che ci circonda, mentre il fatto di trovarci nel mondo è per noi qualcosa di sottinteso. Ma ci sono vari modi per l’uomo di trovarsi nel mondo e agire in esso. Lo studio di questi modi deve per Merleau-Ponty essere considerato originario rispetto a qualsiasi costruzione del pensiero e anche rispetto a qualsiasi categoria scientifica. La metafisica non si pone più allora in una regione “al di là” dell’uomo e del mondo: essa è proprio nella nostra realtà presente e nella nostra temporalità. Per questo “non si tratta più di parlare delle modalità con le quali l’uomo vive nel mondo in maniera astratta – ma la realtà presente e la temporalità dell’uomo – sono le forme stesse che lo uniscono al suo ambiente.” ³
Inoltre, ciò che ha significato non parla mai a un intelletto separato ma si rivolge “al nostro potere di decifrare tacitamente il mondo e gli uomini e di coesistere con loro”.⁴ Questo potere è dato dalla percezione, che noi siamo portati a dimenticare. La metafisica, trasformata in scienza dell’uomo, “cerca di risvegliare la nostra possibilità di decifrare, di ricondurci alla consapevolezza del significato sempre nuovo che ha la nostra presenza nel mondo e nella storia.”⁵
La conoscenza, come l’apprendimento, si esaurisce nella prima fase di percezione e memorizzazione del dato, se si è di fronte a una rivelazione non perfettibile ed esaustiva della conoscenza medesima. Non è questo il caso della conoscenza di cui tratta invece la dottrina delle Idee platonica, una conoscenza derivata appunto dalla “visione” diretta delle Idee, e quindi perfetta (anche in questo caso il senso legato alla percezione del visibile coincide con la razionalità).
Una conoscenza ben diversa quindi anche da quella derivata dalla metafisica epistemologica, che emerge dalla necessità di distinguere l’Essere, come pura entità immanente, dalla fenomenologia dell’esistenza. La conoscenza acquisita grazie alla metafisica delle Idee è simile a quella della gnosi, che si basa su stati affettivi di carattere mistico; stati ben conosciuti anche dall’intuizione artistica (basti pensare alla sindrome di Stendhal, ma vi sono molti altri esempi: lo stesso Bernard Berenson ricorda una reazione simile a quella dello scrittore francese davanti alla bellezza dell’opera d’arte, una volta al cospetto degli affreschi di Raffaello nella Stanza della Segnatura). Risulta ora evidente quali e quante possano essere le affinità elettive tra percorso metafisico e rappresentazione artistica. Anche se quest’ultima parte proprio dalla conoscenza fenomenica, dando luogo a una sorta di “metafisica fenomenologica”.
Tra le due forme di “metafisica”, intese in senso proprio, come forme di “conoscenza che va al di là della natura”, sembra comunque impossibile un’unione. Ma ancora una volta il genio artistico, che tocca per questo un vertice assoluto in Raffaello, riesce a sorprenderci, dando vita a un caso esemplare che mostrerà un percorso di conoscenza che, a partire dalla realtà fenomenologica delle immagini affrescate, porterà lo sguardo dell’osservatore oltre quella stessa figurazione, fino a penetrare nel mondo delle Idee. Un percorso guidato dalla metafisica, dicevamo, e che trova forma nel ciclo a fresco della Segnatura.
Analisi iconografica e iconologica
Raffaello Sanzio (1483-1520) nel 1508, quando viene chiamato a Roma da Giulio II, il papa guerriero, è ormai un artista affermato, che aveva preso lo scettro della pittura italiana da Leonardo, ormai nella cerchia del potere francese. Il papa aveva messo in atto una straordinaria renovatio urbis che non si limitava alla città eterna, ma entrava nel sacello del microcosmo vaticano, chiamando a sé i migliori artisti, tra cui Donato Bramante, urbinate come Raffaello e suo sostenitore, e Michelangelo, il fatale rivale. Raffaello, dopo un breve periodo in cui diede saggio della sua arte, riuscì a conquistare la fiducia di Giulio II e la commissione più importante: la decorazione dell’intero appartamento privato del pontefice, le Stanze Vaticane. L’urbinate cominciò dalla Stanza della Segnatura, la biblioteca riservata allo studio e alla pura meditazione del papa. Nel 1509 la sua pittura a fresco iniziò a ricoprire e consegnare per sempre al passato quella di Piero della Francesca, di Sodoma, di Bramantino e dell’allora misconosciuto Lorenzo Lotto, e prima della fine del 1511 dalle pareti della Segnatura si affacciava la rappresentazione più grandiosa e ineffabile del percorso di conoscenza metafisica, sostanziata in forme di perfetta eleganza e in una sinfonia mirabile di colori.
Basta seguirle, lasciandosi trasportare con lo sguardo dal basso verso l’alto, dalle pareti fino al centro della volta: prima, entro i quattro grandi lunettoni delle pareti, vediamo le memorabili raffigurazioni della Scuola di Atene, della Disputa del Sacramento, del Parnaso e della Legge, che rappresentano le facoltà del sapere. Appena sopra, dai tondi della volta, fanno poi la loro comparsa, personificate, le Virtù Cardinali e Teologali, a vegliare sui rispettivi universi umani, rappresentati nei lunettoni. Inizia quindi a spirare un vento che prende origine da tutti gli elementi della natura, e si nutre dell’intera storia dell’uomo, persa nel mito: si forma un gorgo, un moto centripeto a doppia spirale che, attraverso una complessa raffigurazione simbolica e allegorica, guida lo sguardo, ormai senza freno, verso il centro della volta. E lì, chiave di volta e pietra filosofale insieme, campeggia simbolo sovrano lo stemma di un altro pontefice, Niccolò V, il grande precursore di Giulio II che schiuse le porte della città santa all’Umanesimo. Tutt’intorno un cielo blu circondato da putti attira lo sguardo oltre, verso il nuovo orizzonte umanato, in cui sembra ora di veder apparire aleggianti le Idee di una nuova conoscenza metafisica.⁶
Per comprendere il senso di questa ineguagliata raffigurazione degli affreschi della Segnatura abbiamo sentito il bisogno di allontanarci dalla tradizionale lettura iconografica, che parte dall’analisi dei materiali, dei colori, delle forme, in breve di tutti quei segni che determinano il linguaggio dell’opera, per inseguire il concetto più generale di percezione, grazie al quale possiamo parlare di una lettura dell’“impressione fenomenica” dell’opera.
Questo perché, come la biblioteca di Borges, la Stanza della Segnatura si presenta come un universo spazio-temporale a se stante: un mondo fatto di mattoni e intonaco sui quali Raffaello mette in scena una raffinatissima visione sincretica del pensiero platonico con quello cristiano, che rappresenta un vero e proprio trattato filosofico del neoplatonismo e della sua concezione metafisica. Ma se questa interpretazione appartiene alla lettura iconologica, sarà utile preventivamente considerare appunto alcuni aspetti iconografici, in particolare quelli legati alla dinamica percettiva in relazione allo spazio.
Quando il famoso storico dell’arte Bernard Berenson entrò nella Stanza, sentì un profondo senso di smarrimento, quasi un mancamento, dovuto all’incombente figurazione che da uno spazio vastissimo di quinte scenografiche e colori spaziali, si proiettava in quello ben più ristretto e fisico della Stanza, e poco dopo iniziò a percepire come «il respiro d’un Eden dove l’uomo non più patisce, né più s’affatica, ma ha l’arte e il pensiero come uniche occupazioni».⁷ I sensi si erano dilatati, la percezione fruiva di una nuova, meravigliosa unità sinestetica, e mentre le limitate dimensioni si allargavano a dismisura, lo “spazio storico” della Stanza si trasformava in spazio ideale, transumanato.
Tutto ciò è stato reso possibile dal controllo delle dinamiche percettive che Raffaello aveva saputo inventare grazie a un’intuizione rivoluzionaria dello spazio, che regalava al linguaggio visivo la ricchissima dinamica percettiva dell’udito: la distanza ravvicinata rispetto alla rappresentazione impediva allo sguardo di leggerla in un unico istante (percezione olistica), imponendo invece una lettura più lenta (che attraverso i movimenti saccadici degli occhi trasferiva subliminalmente la lettura a una percezione di tipo sequenziale, come appunto è quella uditiva) diretta come da un direttore d’orchestra dai molti particolari ed espedienti creati proprio per guidare, trattenere, liberare lo sguardo dell’osservatore (dal gioco di sguardi dei personaggi, alle cornici, ai colori più o meno squillanti, sono tutti puri deittici funzionali ad attrarre l’occhio verso precisi punti del dipinto).⁸
L’elemento della distanza d’osservazione, nella Segnatura, richiede però anche una seconda riflessione sulla dinamica sensoriale relativa allo spazio. Sono infatti pochissime le informazioni sensoriali spaziali dirette, e derivano solo dal tatto e dalla propriocezione. L’udito offre invece una percezione spaziale indiretta, derivata cioè dalle onde di pressione. In modo simile, ma ancora più indiretto, lo spazio è percepito attraverso il senso visivo: infatti a una prima immagine retinica bidimensionale, seguirà solo successivamente una immagine tridimensionale, frutto di un processo interpretativo. La tecnica prospettica (che, ricordiamo, è prima di tutto “forma simbolica”) è solo una riprova di questa capacità astrattiva del cervello. Raffaello, strutturando e condensando la raffigurazione, ha riportato una percezione sensoriale derivata di secondo grado (quello del processo visivo) a una di primo (tipico del processo uditivo), costringendo in tal modo l’osservatore a conoscenza più diretta e immediata dell’opera, potremmo dire “intuitiva”, di quanto non si potesse fare con le dinamiche proprie della sola percezione visiva.
Si evince quale possa essere il contributo alla lettura dell’opera d’arte offerto dal dialogo con le discipline cognitiviste e fisicaliste, sempre che si superi l’allettante richiamo del riduzionismo: se conoscere le dinamiche percettive che si attivano di fronte all’opera di Raffaello permette di comprenderla più a fondo, il suo universo spazio-temporale non si potrà mai ridurre a esse (uno degli assunti derivanti dalla consapevolezza della mereologica: il tutto non è mai riducibile alla somma delle sue parti), ma anzi rimarrà una sfida aperta, e terreno ideale in cui esperire nuove forme di conoscenza.
Questo anche il compito che si pone la storia dell’arte con i diversi approcci, e se per quello iconografico abbiamo visto quanto sia importante introdurre la categoria della percezione, per quello iconologico sarà altrettanto basilare trovare un metodo critico che corrisponda al contenuto dell’opera (come per leggere i caratteri cuneiformi bisogna pensare in maniera cuneiforme, cioè olistica, mentre per la scrittura bisogna ragionare in termini sequenziali, o seriali, l’analisi iconologica deve tener conto della semantica dell’opera e adottare l’analisi che meglio la sappia interpretare, legandosi non solo alla contestualizzazione storico-critica, ma a un vero e proprio universo teoretico di volta in volta adeguato a comprenderla). E’ in questo senso che per il ciclo della Segnatura, così come per tutte le opere che richiedono una lettura per parti (o fasi) che devono essere riportate a una superiore unità, il metodo analitico più adatto è sembrato essere quello offerto dall’approccio ermeneutico. Oltre alla vocazione teoretica di interpretare fenomeni legati al tempo (e quindi allo spazio), ha offerto, nel caso della Segnatura, una preziosa messe di categorie critiche per affrontare il problema della metafisica e la teoria delle Idee.
E sopra a tutte, l’idea metafisica della Conoscenza. Se infatti vi è una volontà unitaria che informa tutta la rappresentazione della Segnatura, è però un’unità intesa come traguardo ultimo dell’opera, il cui raggiungimento è arduo, così come lo è quello della dottrina delle Idee. Un’unità da conquistare, quindi, come lo è la Conoscenza cui si può giungere solo attraverso un percorso esperito, come quello presentato dalla Segnatura. Un percorso che si manifesta in modi e per gradi diversi, simile a quello della conoscenza alchemica, ma soprattutto un percorso fatto di momenti, di tappe, come lo è quello umano. Un percorso che nella Segnatura segue prima la strada aperta dalla metafisica neoplatonica, sulla parete dedicata alla ferma, illuminante raffigurazione della Scuola di Atene, per poi sublimare davanti alla ineffabile visione della Trinità, nella Disputa del Sacramento, potendo in questo modo giungere all’Idea del Vero, che le sovrasta. Sulle altre due pareti la rappresentazione del Parnaso, che offre una distillata, inarrivabile Idea del Bello, e quella della Giustizia, che sembra concede all’imperfetta umanità una conoscenza del Bene più alto.
Solo dalla visione sincretica e simultanea di tutte queste Idee nel condensato, calcolatissimo spazio della Segnatura, sembra avvertirci Raffaello, si potrà giungere all’Idea suprema della Conoscenza. Tutte le ulteriori rappresentazioni di conoscenza, ci suggerisce ora la volta dipinta dall’urbinate, anticipando di tre secoli il filosofo di Königsberg, sono racchiuse in quel cielo stellato, che sovrasta e ispira l’intelligenza umana.⁹
Note bibliografiche:
Nota 1: scritto in contemporanea a La phénoménologie de la perception, 1945
Nota 2: Maurice Merleau-Ponty, Senso e non senso dall’introduzione di Enzo Paci, Garzanti, p.9
Nota 3: Merleau-Ponty, ibid., p.10
Nota 4: Merleau-Ponty, ibid., p.11
Nota 5: Merleau-Ponty, ibid., p.12
Nota 6: ho potuto trattare in maniera più approfondita queste tematiche nel saggio Raffaello e la Biblioteca del Papa, Marietti, Genova – Milano, 2010, cui rimando.
Nota 7: Bernard Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, BUR, Milano, 2009, p.192
Nota 8: per approfondimenti rimando al mio saggio Raffaello e la Biblioteca del Papa, Marietti, Genova – Milano, 2010.
Nota 9: è stato chiesto dalla critica letteraria, a proposito dell’Idea della Conoscenza, in cosa consistesse questa Idea. Immaginando di poter girare la domanda a Platone e a Hegel, il primo risponderebbe: l’Iperuranio (con l’idea del Bene che primeggia); Hegel risponderebbe invece senza esitare: la Storia dell’Umanità (manifestazione fenomenica dell’Assoluto, sintesi dell’equivalenza hegeliana ideale-reale). Pensare che l’idealismo tedesco si riferisse a concetti puramente metafisici porterebbe però equivoco sul significato del termine “conoscenza”. È infatti necessario distinguere fra i termini teoretica (da θεωρέω, theorèo, cui deriva anche la parola teoria), che indica in filosofia l’astrazione logica, e metafisica (da μετά τα Φυσικά, metá ta Physiká) che indica la dimensione del pensiero alla quale appartiene la teologia. Tale distinzione scompare nella terminologia anglosassone, che ha generato l’idealismo, non esistendo in essa una possibilità di distinguere i due termini ‘teoretica’ e ‘metafisica’ (entrambi tradotti con Metaphysik in tedesco e metaphysics in inglese). Le lingue neolatine continuano a riportare pertanto l’errore storico di traduzione dalle opere dei filosofi inglesi e tedeschi utilizzando il termine “metafisica”, anche quando bisognerebbe tradurre con “teoretica”.