La forma è nel colore
Riccardo Panigada
L’umana condanna di vedere il mondo sotto la lente dei naturali sensi, tanto utili alla vita biologica e sociale, quanto parziali e imperfetti per raccogliere l’essenza della realtà, si trasforma nell’arte in opportunità d’infinite proposte interpretative, da leggere sotto il profilo scientifico-speculativo, o semplicemente fruibili nella loro valenza estetica motivata dall’esperienza biotica e culturale. Ma l’arte è azione, è motivata quanto motivante: la percezione storicizzata dell’autore trascolora nella percezione dell’opera vissuta dal fruitore.
In questo numero di Tempoearte la fa da padrone il colore. Non il disegno. In ultima analisi il contorno non esiste. L’esigenza di definire un contorno non deriva altro che dall’ingenua presunzione umana di razionalizzare sul foglio l’illusione “quasi-percepita” del limite degli oggetti: l’ottica rivela che esso appare alla vista in funzione della derivata seconda di variazioni cromatiche. Tantovale disegnare col colore e basta.
Ma bisogna, prima di tutto, dare un tributo a Μνημοσύνη: analizzando bottom-up, anche la più cruda analisi dei fenomeni di trasmissione dell’informazione (messaggi sensori) all’interno del corpo, implica la trattazione di una “memoria”. Infatti se per memoria s’intende indubbiamente la conservazione di un’informazione nel tempo, bisogna specificare che, anche in un semplice arco riflesso può essere individuata memoria. Un neurone non potrebbe trasmettere alcunché, se, venendo depolarizzato, non innescasse appunto tutti quei processi cui si è prima accennato, e che determinano la trasmissione dell’informazione al neurone successivo mediante la sinapsi. Perciò si può dire che la memoria dell’evento che ha innescato il processo di depolarizzazione della cellula nervosa è rappresentata dallo svolgersi di tutti i meccanismi biochimici che determinano la sinapsi. Una memoria dinamica e temporanea, praticamente infallibile, e univocamente finalizzata a produrre la risposta fisica specifica prevista dal sistema corporeo allo stimolo originario.
Un ulteriore sorprendente aumento di complessità si osserva passando al termine percezione. Complessità determinata non solo dal numero di neuroni interessati nella trasmissione di un messaggio che arriva al cervello, ma, soprattutto dal fatto che in essa intervengono ben altre tipologie di memoria, per cui si deve iniziare a fare i conti con una buona parte del mistero intrinseco al sistema nervoso centrale, come al resto del mondo naturale.
Se nell’arco riflesso stimolo e risposta restano confinati all’interno del metamero corporeo interessato, senza coinvolgere nessun altro tipo di elaborazione neurale a livello del sistema nervoso centrale, col termine percezione s’intende invece che lo stimolo, arrivando al cervello, venga elaborato, e la risposta a esso sia conseguente appunto a un fenomeno di elaborazione distinto con un termine astratto, che rimanda cioè al concetto di “volontà”.
Per cui, la risposta alla percezione non è assolutamente detto che sia immediatamente reattiva allo stimolo provocato, come nel caso dell’arco riflesso (anzi, sarà sempre comunque relativamente ritardata), ma potrà anche non esserci, ovvero trasformarsi semplicemente in memoria. In questo caso la memoria sarà conservata a carico di specifiche aree del Sistema nervoso centrale, e sarà caratterizzata da una durata molto superiore al quella di qualche sinapsi.
Per fare un esempio, si consideri il diverso condizionamento comportamentale che si potrà registrare in seguito alla percezione di un sapore delizioso collegato a una particolare pietanza, o di un colore acceso e improbabile del vestito di una persona sgradevole. Si pensi infatti ai differenti stati d’animo registrabili (a prescindere dal fatto che vengano espressi o meno) una volta che, dopo qualche giorno, ci si ritrovi ad assistere al servizio nel piatto di un nostro commensale la stessa pietanza a titolo esclusivo; oppure sopportare che venga a sedersi vicino a noi in metropolitana uno sconosciuto qualsiasi vestito nello stesso modo del seccatore incontrato qualche giorno prima…
Se lasciassimo agire il nostro sistema nervoso volontario, indipendentemente dalle remore culturali imposte dalla buona educazione ci approprieremmo del cibo ambìto, nel primo caso, e ci andremmo a sedere più lontano, nella seconda situazione.
Le percezioni sono quindi stimoli in grado di determinare l’insorgenza di una memoria duratura, e funzionale a orientare scelte immediatamente successive, o differite. Perché ciò avvenga in modo efficace è necessario che il segnale trasmesso dagli organi di senso sia associato a qualcosa che interessa emozioni o stati affettivi. E tanto più forte è l’intensità e la valenza degli stati emozionali, tanto più chiara e duratura è la memoria e la spinta al condizionamento comportamentale a essa associato.
A questo punto sono inevitabilmente stati usati termini quali: sistema nervoso volontario, scelte, emozioni, stati affettivi, che, facendo riferimento a qualcosa di astratto, richiederebbero una trattazione separata. Dobbiamo tuttavia chiedere al lettore di sopportare ancora per qualche numero il comune utilizzo di questi termini e di altri analoghi, che possano rientrare nel contesto della sfera cosciente, o dell’astrazione, per consentire la trattazione degli argomenti in oggetto, l’intento della quale è appunto quello di definire il metodo fondativo di una possibile fisica della coscienza artistica.
Con l’appercezione si rileva infatti un ulteriore aumento di complessità proprio in rapporto alla sfera astratta della coscienza (fino al momento della fondazione della fisica della coscienza si farà riferimento alla coscienza quale entità astratta come comunemente viene intuita).
Infatti, se la percezione è fenomeno sufficiente a creare una memoria specifica per ogni evento, e a rievocarne in modo inconscio, o, comunque non consapevolmente e intellettualmente elaborato, l’appercezione definisce il soffermarsi del pensiero consapevole sulla percezione, in modo da appropriarsene più profondamente, e stabilendo chiare relazioni intellettuali con il patrimonio esperienziale del soggetto.
Il risultato pratico si stacca completamente, quindi, da quello consentito dalla percezione: l’appercezione consente al soggetto non di essere semplicemente orientato da essa nel momento fortuito in cui si produce, ma di essere utilizzata consapevolmente, al fine di costruire relazioni, progettare azioni, o produrre teorie.
L’utilizzo dei dati mentali derivanti dall’esperienza in proiezione sul futuro è ciò che definisce l’emergere della cultura. La cultura nasce infatti dalla necessità di organizzare operazioni per far fronte a necessità materiali la cui ricorrenza induce nel soggetto memoria di esse, e quindi a considerarle costanti, mentre l’esperienza ha suggerito la prudenza di considerare l’incertezza del domani.
Le culture materiali si evolvono, in funzione della capacità di astrazione dei loro componenti. L’astrazione genera infatti significati estesi, metaforici, ideali, artistici, tanto più forti quanto più essi dimostrano comunque di mantenere intensioni che esprimono la loro origine primaria, costitutiva, archetipale, necessitante il destino biologico e intellettuale dell’homo sapiens. La possibilità culturale evoluta di distinguere tali significati, poterli ricreare o leggere nell’arte è ciò che può essere definito percetto.
Alla fine di questo articolo ci si accontenterà di rilevare ostensivamente che istinto ed esperienza conducono verso colori chiari, e rifuggono dalle tenebre (a meno che non si stia fuggendo da un predatore, o non si sia stanchi morti). È il colore, quindi, che è in grado di veicolare con immediatezza evocativa superiore alla linea (che richiede tempi di elaborazione più lunghi) le valenze archetipiche di cui è carico, scevro dagli intellettualismi razionalistici vincolati alla linea. È il colore che, domato da un buon pennello, è, nondimeno, in grado di organizzarsi in significati formali dai contorni vibrati, grazie ai quali anche gli oggetti più anodini assumono libertà, intensità, e fascino.