L’equazione di Cézanne
m.m.
… trattare la natura per mezzo del cilindro, della sfera, del cono,
il tutto messo in prospettiva…
Cézanne, da una lettera a Émile Bernard
Paul Cézanne sente la necessità di un rinnovamento del linguaggio artistico a partire da un metodo che garantisca alla ricerca pittorica un nuovo grado di percezione della realtà che vada oltre a quello raggiunto dagli Impressionisti. Una rappresentazione che superi il livello dell’apparenza (fenomenologico) e riesca a cogliere l’essere stesso della realtà (l’ontologia). Cézanne dedicherà l’intera esistenza a questa ricerca, generando un metodo che è straordinaria sintesi di quello induttivo intuitivo, tipico dell’arte, e quello deduttivo, derivato dalla scienza.
Il pittore di Aix (1839-1906), dopo un primo periodo ‘romantico’, anche grazie all’amico Pissarro, si rivolge all’Impressionismo, ma sente che la sua ricerca non trova risposte adeguate. Scrive Merleau-Ponty: “I suoi primi quadri, fino al 1870, sono sogni dipinti. … Nascono dai sentimenti e vogliono provocare sentimenti. … Offrono la fisionomia morale dei gesti più che il loro aspetto visibile. Agli Impressionisti, e in particolare a Pissarro, Cézanne deve di avere inteso poi la pittura non come l’incarnazione di scene immaginate o la proiezione esterna dei sogni, ma come lo studio preciso delle apparenze”. 1 Cézanne capisce infatti presto che la sua volontà rappresentativa è un’altra.
Dall’Impressionismo aveva appreso che bisognava tener conto dei fenomeni di contrasto che nella natura modificano i colori locali, per ottenere poi sul quadro, che sarà visto nella debole luce degli appartamenti, le stesse tinte osservate alla luce del sole: “vi si deve far figurare non solo il verde, se si tratta d’erba, ma anche il rosso complementare, che lo farà vibrare”. 2 Tuttavia attraverso il procedimento pittorico impressionista la tonalità locale veniva decomposta, dato che si sapeva che si poteva ottenere ogni colore, giustapponendo, anziché mescolando, i colori componenti, per renderli più vibranti. ciò comportava però che la tela “non era più paragonabile alla natura punto per punto, ma restituiva, grazie all’azione reciproca delle parti tra loro, una verità generale dell’impressione”. 3 Inoltre la resa atmosferica e la divisione dei toni impressioniste “annegavano in pari tempo l’oggetto e ne dissolvevano la pesantezza.” 4
A questo punto Cézanne decide di creare un’altra tecnica, a partire dalla scelta dei colori. La sua tavolozza non è più composta dai sei colori del prisma, ma da diciotto, in prevalenza caldi, e dal nero. Questa selezione “mostra che Cézanne vuol rappresentare l’oggetto, ritrovarlo dietro l’atmosfera. Così pure egli rinuncia alla divisione del tono e la sostituisce con una modulazione colorata che segue la forma e la luce ricevuta.” 5
E la forma è appunto il secondo elemento che entra in gioco nella ricerca di Cézanne. Come nel caso del colore, anche per quanto riguarda la percezione della forma, vi sono meccanismi biologici alla base. Da un punto di vista fisiologico, gli elementi costituenti la nostra percezione della forma sono linee (o segmenti di linea). L’importanza che Cézanne sente di dover dare alla forma come elemento fondante del nuovo processo percettivo, che intende realizzare attraverso la propria pittura. Sembra trovare conferma anche nei fattori biologici; fattori che egli non poteva conoscere se non intuitivamente, ma che confermano una predisposizione del sistema visivo umano a percepire la forma come prioritaria rispetto al colore (tanto che le aree corticali del cervello dedicate alla analisi e percezione della forma sono maggiori di quelle dedicate alla percezione del colore). La forma attiva delle componenti presenti nel nostro sistema visivo, specializzate esattamente nell’identificazione e nel riconoscimento dei contorni. 6 In questo modo, in senso puramente fisiologico, la tecnica disegnativa, che consiste in particolare nella capacità di concentrarsi esclusivamente sui contorni, si trova avvantaggiata rispetto a quella coloristica. “Il disegno è come se parlasse a una parte molto antica e specializzata dei nostri sistemi percettivi, la parte che crea le forme a partire dalla separazione con altre forme, studiando il loro contorno.” 7
Cézanne si rivolge quindi al disegno per ridare valore e peso all’oggetto, e non potrà che cominciare dal ridefinirne i contorni. Caricato del peso della conquista impressionista di una nuova verità luministica, Cézanne ha trovato nel contorno il complementare necessario a dare equilibrio a quel grado maggiore di ‘verità’, raggiunto dalla rappresentazione per mezzo del colore. La successiva soppressione dei contorni precisi e la priorità del colore sul disegno porterà poi l’oggetto a essere “come illuminato sordamente dall’interno, la luce emana da lui, onde ne risulta un’impressione di solidità e materialità.” 8
Il rapporto tra contorno (disegno) e forma (macchia o area cromatica), che è sempre stato un nodo da sciogliere estremamente complesso per tutta l’arte figurativa, diventa quindi per Cézanne ‘il problema’, e la sua opera sarà totalmente dedicata a cercarne le soluzioni.
Analisi iconografica (materiale, forma, percezione) e iconologica (intenzionalità artistica):
Con mirabile sintesi Caroli paragona la ricerca impostata da Paul Cézanne a un’equazione a tre incognite: la prima consiste nel “mettere Poussin sulla natura”; la seconda nel dipingere la realtà attraverso i solidi geometrici elementari: il cilindro, la sfera e il cubo; la terza nel presentare la visione binoculare, il che vuol dire sincronica, ma anche attraverso due diverse prospettive (il che prelude chiaramente al relativismo). 9 Un’equazione di difficile, quando non impossibile, soluzione. Spetterà al cubismo risolverla e lo farà in modo risoluto, considerando nulla l’incognita del riscontro sulla natura, o, meglio, sulla luce naturale (e potrà farlo facendo aderire l’Io e il mondo, assumendo soggetto e oggetto come un’unica unità, la nuova unità cui si rivolgeranno le discipline umane del XX secolo), e dedicandosi a risolvere le altre due: il ‘tempo’ derivato dalla visione binoculare, che si scoprirà appunto ‘relativo’, e le forme solide, che da ideali e assolute si scopriranno parte di un nuovo ‘iperuranio’, totalmente umano.
Queste tre ‘incognite’ nascondono però una formulazione ben più complessa di un’equazione, che sembra rispondere a molte delle questioni aperte.
Infatti, “Poussin sulla natura”, vuol dire partire da una struttura spaziale e prospettica, come quella del grande seicentista, cioè immergersi in quello spazio euclideo in cui si pone la necessità dei due metodi: quello induttivo e quello deduttivo, insieme. Poi, la natura (ovvero la realtà fatta di luci vere, forme vere, veri passaggi tonali): dipingerla riportandola ai solidi primari, il che vuol dire una chiara dichiarazione di metodo deduttivo (che parte dal generale, la natura, per arrivare attraverso un percorso rigorosamente razionale all’estrapolazione del particolare, il solido geometrico). Infine, la visione sincronica, attraverso la quale si mette in atto una perfetta elaborazione del metodo induttivo-intuitivo: attraverso i sensi, e in questo caso la vista, si intuisce e si può rappresentare la realtà ontologica che si nasconde dietro l’apparenza fenomenica.
La cosa straordinaria non è tanto che Cézanne concepisca questa ‘genealogia teoretica’ come perfetta sintesi tra i due metodi, ma che riesca poi a realizzarla, e questo grazie al portentoso mondo dell’arte, in cui tutto sembra poter prendere corpo.
Così si offre a noi la montagna di Sainte-Victoire, soggetto ricorrente, e conseguente esplicita dichiarazione di fallimento. Se lo guardiamo dal profilo neuroscientifico, non è un fallimento poi così drammatico, perché appartiene a quello dell’intera umanità nella sua evoluzione. Infatti, sembra proprio che i nostri antenati abbiano iniziato a produrre immagini reali per i limiti connessi alla capacità di creare simulazioni interne (capacità di astrazione); cioè per procurarsi uno scenario reale su cui riproporre esperienze difficilmente praticabili o pericolose nella realtà, come simulare caccie al bisonte o istruire i figli. Se così è stato, come ipotizza un noto neuroscienziato 10, potremmo considerare l’arte la “realtà virtuale” della Natura.
Ma Cézanne vuole risolvere la questione, ne va della sua stessa vita! Nella visione naturale si sforzava di vedere un ordine che sta per nascere, un oggetto nel momento del suo apparire. Tentava di identificarsi col paesaggio, tanto da affermare “Dispongo del motivo – diceva Cézanne – Il paesaggio si pensa in me e io sono la sua coscienza.” 11 Ciò a dire :“Io sono la coscienza soggettiva di questo paesaggio e la mia tela è la coscienza oggettiva.” 12 Per questo ‘entrava’ nella natura fino a tentare di decifrarne le strutture geologiche, fino a riuscire a cogliere “la costituzione del paesaggio come un organismo nascente”. 13 Un paesaggio nascente attraverso la sua pittura, che ogni giorno tornava a cercare di fissarne la crescita, un’eruzione orogenetica come vediamo apparire ora la montagna di Sainte-Victoire.
Nulla è più lontano dal naturalismo di questa scienza intuitiva. L’arte non è né imitazione, né peraltro una costruzione che segua i dettami dell’istinto e del buongusto. E’ un’operazione d’espressione”14, dichiara deciso Cézanne, mostrando la propria opera. La pittura diventa così, per dirla con Merleau-Ponty, ‘un’esperienza metafisica’. Cézanne ha voluto ritornare all’oggetto senza abbandonare l’estetica impressionista, che prende modello dalla natura. Émile Bernard gli ricordava che un quadro, per i classici, esige circoscrizioni mediante i contorni, composizione e distribuzione delle luci. Cézanne risponde: “Loro facevano il quadro e noi tentiamo un pezzo di natura”. 15
Quando questo tentativo assume la forma di una ontologia stabile e assoluta, si rivelano alla luce del mondo le Grandi Bagnanti. E’ questa l’opera manifesto di Cézanne, in cui tutte le sue teorie trovano conferma: “è chiaro anzitutto che la luce è vista sul motivo – scrive Caroli – e che questo bagno silvano avviene in una pozza d’acqua provenzale, con l’aria tersa e spazzata dal mistral. Senonché il silenzioso gineceo è edificato proprio col cilindro, con il cono e con la sfera”. 16 Da quelle figure solide geometriche fondamentali derivano l’agglomerato conico delle figure, i cilindrici tronchi arborei e anche i glutei sferici della bagnante distesa. Infine l’incertezza dei contorni disegnativi, raddoppiati, non è altro che l’esplicita dichiarazione della moltiplicazione del punto di vista.
Si prospetta una teoria fisica nuova (pensiamo al relativismo in questo caso), l’unica che “può provare se stessa – scrive Merleau-Ponty – perché l’idea o il senso […] appartengono ad un dominio già comune per tutti gli uomini. Un pittore, come Cézanne, deve non solo creare ed esprimere un’idea, ma deve anche risvegliare le esperienze che le permetteranno di radicarsi nelle altre coscienze”. 17
Alla base di questo dominio, di quest’esperienza comune a tutti gli uomini vi è la natura, e la sua percezione, il che ripresenta il concetto di mìmesis (Μιμησις è l’imitazione, intesa della natura). Un concetto nodale nella storia dell’arte occidentale, e fulcro della volontà di rappresentazione realista, che assume come scopo dell’arte la riproposizione del mondo esterno, il mondo sensibile. L’arte mimetica è un’arte che si avvale dichiaratamente dei sensi per rappresentare il proprio oggetto. In realtà l’intera idea di mìmesis, se la si considera come corrispondenza esatta con la natura, appare come un grossolano errore concettuale, in quanto elimina il processo interpretativo della percezione: per quanto tutta la classicità, a partire da Plinio il Vecchio, con il racconto della mitica gara tra Zeusi e Parrasio, abbia tentato di avvalorare questa tesi, non c’è mai stata un’immagine che fosse come la natura. La semiotica ci insegna che il linguaggio delle immagini, come qualsiasi altro linguaggio formulato dall’uomo, è basato su segni convenzionali. Il rapporto tra rappresentazione per somiglianza (mimetica) e rappresentazione per segni, diventa centrale nel momento in cui la relazione tra soggetto e oggetto diventa costitutiva dei due poli che dovrebbe unire. Il primo che si pone consapevolmente questo problema è appunto Cézanne, seguito poi da Braque e Picasso, per i quali “la funzione unificante dello spettatore diventerà trasparente, anzi diventerà il vero protagonista dell’opera d’arte”. 18
Ma lo sforzo dell’occidente di tentare un incontro sempre più stretto tra rappresentazione e natura, che ha portato l’ arte a sposare totalmente la scelta della mìmesis, trova un primo, diretto riferimento nel mito della caverna di Platone. Con questo racconto Platone sembra muovere una implicita critica all’arte perché, in quanto mìmesis, che è a sua volta imitazione della realtà ideale, sarebbe solo la copia imperfetta di una copia imperfetta. L’arte, però, non è solo mìmesis per Platone, può anche essere lo strumento per risvegliare in noi il ricordo delle Idee, e quindi costituire il mezzo di cui l’uomo può avvalersi per cogliere l’ideale, la forma perfetta che non si trova in natura, andare oltre alla imperfetta conoscenza che dalla natura deriva.
Nasce la concezione classica dell’arte: essa non intende mostrare la realtà così come si mostra ai nostri sensi, ma creare un ponte verso la dimensione ideale, altrimenti irraggiungibile, dell’essere. Tutta l’arte del Rinascimento sarà intenta nello sforzo di trovare la forma ideale che superi il livello fenomenico della realtà, a partire da Leonardo, che in modo esplicito intuisce che questa forma ideale non deve necessariamente essere sulla tela, ma può essere colta attraverso la raffigurazione posta sulla tela, e quindi solo quando la raffigurazione viene vista da uno spettatore. Il ruolo dello spettatore diventa in questo modo decisivo, così come quello dell’artista, che diventa medium tra il primo e il mondo delle Idee, realizzando opere che mostrino cosa c’è oltre l’opera (oltre la natura, ovvero la metafisica). Un secolo più tardi anche la scienza, con Galileo in primis, tenterà di rendere visibile questo dominio delle Idee. 19
Ed è quello, sembra dirci ora Cézanne, con le Grandi Bagnanti, ‘il dominio comune a tutti gli uomini’. Un’idea che riuscirà, tramite i suoi infiniti ‘valori tattili’, per dirla con Berenson, a risvegliare certamente tutte quelle ‘esperienze che le permetteranno di radicarsi nelle altre coscienze’.
E’ grazie a questa nuova acquisizione che Émile Bernard potrà giungere a una verità di rappresentazione ancora maggiore, in cui contorno e forma potranno presentarsi come valori assoluti, “puri”. Un connotato di verità da cui solo potrà levarsi l’astro di Van Gogh e quello di Gauguin, per entrare nell’orizzonte del simbolo (il Simbolismo deve la propria nascita proprio al fondamento di verità creato grazie al cloisonnisme e all’uso del colore à-plat da Émile Bernard).
Così, a proposito dello sguardo di Cézanne, gettato sul secolo a venire, potremmo dire, riutilizzando le stesse parole del maestro a proposito di Monet quale genio e demiurgo del movimento che aveva riassunto in sé tutte le conquiste del XIX secolo: “non è che un occhio, Dio mio, ma che occhio!”, lasciando a quello l’orizzonte del passato e volgendo il proprio a quello dell’avvenire.
Se infatti pochi lo capirono quand’era in vita (e tra costoro Émile Bernard, il più strenuo difensore delle sue tesi e il suo primo e più grande epigono), nessuno volle seguirlo fino in fondo sulla sua strada. Se però i suoi eredi diretti, i cubisti, sono diventati i messaggeri del XX secolo proprio grazie alla strada da lui aperta, la sua gittata, grazie alla scoperta di una nuova visione sintetica e unitaria della realtà, appare oggi ancora più ampia e sembra stagliarsi sull’orizzonte del XXI secolo.
Note bibliografiche:
1) Merleau-Ponty M., Senso e non senso, Garzanti, p.29.
2) Merleau-Ponty, ibid., p.30.
3) Merleau-Ponty, ibid., p.30.
4) Merleau-Ponty, ibid., p.30.
5) Merleau-Ponty, ibid., p.30.
6) Manzotti R., Psicologia della percezione artistica, Arcipelago Edizioni, Milano, 2007, p.137 e 158.
7) Manzotti R., Psicologia della percezione artistica, Arcipelago Edizioni, Milano, 2007, p.145.
8) Merleau-Ponty, ibid., p.33.
9) Caroli F., La pittura contemporanea, Electa, Milano, 2001, p.85.
10) Ramachandran V.S., Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano, 2006, p.58.
11) Merleau-Ponty, ibid., p.36.
12) De Micheli M., Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2004, p.209.
13) Merleau-Ponty, ibid., p.36.
14) Merleau-Ponty, ibid., p.36.
15) Merleau-Ponty M., Senso e non senso, Garzanti, p. 31.
16) Caroli F., La pittura contemporanea, Electa, Milano, 2001, p.87.
17) Merleau-Ponty, ibid., p. 38.
18) Manzotti R., ibid. p.360.
19) Manzotti R., ibid., Arcipelago Edizioni, Milano, 2007, pp.152-153.