Teoria della relatività: l’arte rispose subito con modelli nuovi, paradossali… e geniali

Riccardo Panigada

(Nelle immagini correlate a questo articolo: alcuni esemplari di una ricca serie di disegni prodotti in prospettiva emblematica, da Gianni Brusamolino, in auspicio alla realizzazione di apparecchi per la fusione nucleare, basati su tecnologie e progetti ingegneristici ideati da Bruno Coppi Mit).

Per rendersi pienamente conto della portata delle trasformazioni di atteggiamento epistemologico che la rivoluzione conseguente alla scoperta della relatività e della fisica delle particelle determinò sul panorama della ricerca scientifica e filosofica, è forse necessario avvalersi di una innocente finzione in tema di “fantastoria del pensiero scientifico e filosofico”.

Si immaginino infatti quali reazioni avrebbero potuto verosimilmente avere alcuni scienziati e filosofi del XVII secolo di fronte alla scoperta del mondo della fisica della relatività, se la scoperta della relatività fosse avvenuta durante la loro vita.

Paradossalmente lo scienziato che sarebbe stato, dal punto di vista puramente intellettuale, meno ostile alla teoria della relatività, di quanto non lo siano stati tanti altri suoi fedelissimi seguaci del ‘900, avrebbe potuto essere proprio lo scopritore della meccanica classica Isaac Newton. Forse essendo molto suscettibile egli si sarebbe turbato sul piano personale, visto che una scoperta tanto rivoluzionaria da sminuire l’universalità della sua rivoluzione scientifica, lo avrebbe portato a prendersela con un ipotetico Einstein a lui contemporaneo. O forse sarebbe precocemente impazzito, o addirittura sarebbe potuto arrivare anche al suicidio, per il fatto di non poter accettare di essere secondo a nessuno.

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Inquisizione magnetica per calore – G.Brusamolino (2006)

Ma dal punto scientifico-epistemologico Newton possedeva le stesse doti dei grandi, che sanno individuare la semplicità e l’eleganza all’interno del disordine della complessità, e come Einstein era convinto che Dio non giocasse a dadi con l’universo. Quindi, carattere personale a parte, la mente di Newton, la cui curiosità si spingeva fino agli instabili terreni dell’alchimia, si sarebbe presentata con tutte le prerogative idonee a recepire novità anche paradossali per continuare a indagarle, e il suo intelletto non si sarebbe mai minimamente sognato di opporsi a mirabili evidenze matematiche.

Le eventuali reazioni degli empiristi sarebbero state assolutamente imprevedibili, e quindi qualunque ipotesi di fantasia potrebbe andar bene, ma si provi a immaginare quali potrebbero essere state le reazioni di altri grandi filosofi razionalisti e matematici quali, per esempio, Cartesio e Leibniz.

Che il concetto di Dio di Einstein fosse lo stesso che aveva Newton è stato rilevato già in molte occasioni. Ma in questa sede si è voluto osservare (azzardando l’ipotesi fantastica per cui Newton avesse potuto conoscere Einstein), che, per quanto ancor più inconcepibile potesse risultare nel 1600 la teoria della relatività, rispetto a quanto non lo sia stata ai primi del ‘900, la mente di Newton si sarebbe potuta dimostrare compatibile alla possibilità di accettarne la sfida.

In sostanza se ai primi del novecento si rimarcò che l’idea di Dio di Einstein non era diversa da quella di Newton, per far fronte ai detrattori della teoria della relatività, qui per la prima volta s’intende rilevare la grandissima importanza della considerazione logica inversa e reciproca, e mai finora presa in considerazione: cioè che l’idea di Dio di Newton fosse già quella di Einstein!

Dal razionalismo emerse infatti che la cultura non può essere formulata e spiegata in termini di necessità, ma deve emergere dall’attività autonoma della ragione che sottende all’evoluzione del pensiero, verso il raggiungimento dei massimi livelli del sapere. Attività autonoma, quindi libera da ogni possibile retaggio di presunta verità aprioristica. Questi concetti sono stati mirabilmente e compiutamente trattati da Kant.

Per Newton e poi per Kant e per Einstein l’idea di Dio non è quindi tanto intrisa di aspetti metafisici, ontologici, creazionisti, esistenzialisti, o morali, sui quali nessuno di loro si indugia mai troppo con riferimento a Dio, quanto rappresenta l’espressione massima del sapere (si potrebbe dire tuttalpiù arricchito del contenuto mistico del λόγος di Eraclìto) nella sua organizzazione formale.

Tuttavia, pur essendo il razionalismo il più importante tra i fondamentali generatori dell’evoluzione del pensiero filosofico e scientifico dei secoli successivi, la maggior parte degli scienziati del ‘600, al contrario del loro massimo esponente, non era ancora riuscita ad affrancare la spinta alla ricerca teoretica dal bisogno di sicurezza derivante dall’esistenza di una verità assoluta, determinata dal conforto di una entità superiore, che sopperisse ai limiti della ricerca intellettuale.

Così molti di loro, tra cui Cartesio e Leibniz, continuarono a darsi da fare per giustificare razionalmente la necessità dell’esistenza di Dio.

Ne derivarono due cespiti di ricerca distinti interni a ogni personaggio: il primo di questi è rappresentato dalla lucida indagine, basata sulla possibilità di elaborare rappresentazioni simboliche puramente formali, e quindi “neutre”, che portò alle note scoperte riguardanti la matematica e la geometria; il secondo continuava, invece, in un certo senso, l’attività speculativa dei padri della chiesa e della scolastica, ricercando tutti i possibili argomenti razionali per provare l’esistenza di Dio.

Immagine romantica di energia fusionale pulita - G.Brusamolino (2006)

Immagine romantica di energia fusionale pulita – G.Brusamolino (2006)

Per rimediare al continuo fallimento degli inquietanti tentativi di prendere pienamente contezza del mistero dell’esistenza umana e della coscienza, Cartesio dovette trovare un rimedio per gettare alle ortiche l’ipotesi delle lenti colorate, che, a causa dello scherzo di qualche eventuale diavoletto, che gli avesse voluto falsare la percezione della realtà, avrebbe potuto portare inconsapevolmente davanti agli occhi.

Non riuscendo a fare di meglio che trovare l’argomentazione che Dio, essendo infinitamente buono e potente, non avrebbe mai potuto consentire uno scherzetto tanto fuorviante per la ricerca, lo scienziato matematico e razionalista conclude quindi il suo “Discorso sul metodo” con una ingenuità logica che oggi stupisce gli studenti adolescenti.

Mentre Leibniz introduce le monadi, postulate come “forme sostanziali dell’essere” (sorta di atomi spirituali che partecipano alla materia), pretendendo di risolvere così il problema dell’interazione tra mente e materia che Cartesio aveva tentato di risolvere avvalendosi della fede, al fine di abolire la fastidiosa divisione imposta dal dualismo mente-corpo.

Cartesio non conobbe i “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” mediante i quali Newton scoprì e descrisse l’ordine sistematico che governa la materia nell’universo, compatibilmente a quanto percepito dai sensi. Dai Principia egli avrebbe sicuramente ricevuto grande conforto, nel riscontrare una corrispondenza così importante tra l’attività del pensiero astratto e le leggi della meccanica classica.

Ma si può immaginare invece quali argomentazioni avrebbe potuto escogitare di fronte alla necessità di prendere in considerazione una ulteriore realtà (quella relativistica non evidente ai sensi e inconcepibile per il pensiero umano) oltre alla realtà comunemente percepibile, che già gli aveva procurato tanta inquietudine per farla corrispondere in modo certo con la mente?

La relatività avrebbe inoltre fatto “scoppiare” le monadi di Leibniz, che foriere del contenuto teoretico intrinseco alla sostanza riuscivano a conciliare la natura materiale con quella spirituale. Come sarebbe stato possibile infatti che in esse non vi potessero essere contenuti principi relativistici se questi appartenevano alla realtà? e se appartenevano alla realtà e vi erano contenuti, come sarebbe stato possibile che il pensiero non li trovasse accettabili se le monadi erano consustanziali al pensiero e alla materia?

L’unico filosofo del XVII secolo, che, con la sua proposta sembrava poter superare brillantemente la questione dell’irriducibilità del dualismo mente-corpo fu Spinoza. Ma, sia per i suoi atteggiamenti anticonformisti, sia per non voler accettare alcun compromesso riguardante l’impianto di sapore gnostico da lui proposto, venne scomunicato e allontanato tanto dalla comunità ebraica quanto da quella cattolica.

Forze-spinte rotatorie magnetiche nel farsi della fusione - G.Brusamolino (2006)

Forze-spinte rotatorie magnetiche nel farsi della fusione – G.Brusamolino (2006)

Il pensiero spinoziano preoccupò nel ‘600 le istituzioni religiose, quanto le stesse sono oggi preoccupate del fatto che l’atteggiamento scientista riduzionista dichiari di poter risolvere a breve il mistero della genesi del pensiero dalla materia grazie alle nuove tecnologie disponibili.
Il fatto di “rischiare” di risolvere il mistero dell’origine del pensiero o dell’universo con una spiegazione plausibile, di qualsiasi tipo essa sia, è infatti sentita come una minaccia per la fede.
In ogni caso l’attuale stato dell’arte delle discipline scientifiche, partendo dai loro presupposti specifici, non sembrano potere far altro che approfondire la conoscenza e il funzionamento hardware del corpo umano, senza la possibilità di individuare null’altro che i rapporti tra hardware e software, ma non certo dimostrare come dal primo possa scaturire il secondo.

Per tornare quindi alla relatività e alla fisica quantistica, tematiche sempre tenute drasticamente distinte da ogni altro campo speculativo della scienza, è probabile che esse contengano, se non la possibilità di spiegare direttamente il fenomeno del pensiero cosciente, il suggerimento di come porsi per indagare situazioni fenomenologiche dalle quali raccogliere dati utili a tracciare nuove linee di ricerca.

La lezione cubista, così come spiega Marinacci nel saggio a sinistra di questo articolo (e coerentemente a quanto illustra Brusamolino nella videointervista qui a destra), indica come l’arte abbia saputo prontamente accogliere la sfida della teoria della relatività, iniziando a declinarla nel reale esperienziale sotto il profilo fenomenologico, e proseguendo a esplorarne anche gli aspetti ontologici, grazie alla sua opzione di massima libertà epistemica, la quale le consente di reperire una semantica colta e adeguata a ogni circostanza, per quanto nuova, sorprendente, o rivoluzionaria possa apparire.