Arte e scienza tra intuito e ragione
Riccardo Panigada
C’era un simpatico amico ingegnere, il quale era solito osservare che non bisogna mai preoccuparsi troppo di fronte ai problemi. Infatti per ogni problema c’è sempre una soluzione, e se qualcosa che sembra un problema non ha soluzione, significa che non si tratta di un vero problema.
Ma gli uomini hanno bisogno dei problemi, tanto che creano continuamente non-problemi, e, convincendosi che siano problemi veri e propri, non smettono mai di darsi da fare per proporre pretese quasi-soluzioni (che l’amico ingegnere chiamerebbe sinceramente sciocchezze), col pretesto di avvicinarsi a soluzioni impossibili.
Uno dei più antichi e illustri, non-problemi dell’umanità, generati da filosofi e scienziati, è quello che riguarda la necessità di spiegare come il corpo generi la coscienza; la quale deriva certamente dalla memoria della percezione sensibile, ma di cui l’uomo ha illusione che appartenga a una dimensione metafisica inquietante, per non riuscire a darne completamente conto con la ragione. Ma la coscienza viene veramente generata o semplicemente percepita? Non c’è nessuno che sia in grado di dimostrare ineluttabilmente la prima o la seconda ipotesi, salvo il fatto di dichiararsi tutti pronti a mettere la mano sul fuoco (tanto ben poco si rischia), sostenendo una delle due tesi, a seconda a quale partito si appartenga.
Ancor più inquietante, per l’uomo di cultura occidentale, è poi che l’arte riesca a inquisire un territorio tanto labile, ottenendo, di ritorno, risultati materici, costituiti da simboli, forme, colori, generanti percezioni e sintomi, in cui una certa collettività culturale riconosce i propri universali.
È quindi meglio scegliere, in certe circostanze, la ragione o l’intuito? E ancora: c’è una via di collegamento tra ragione e intuito, tale per cui la ragione debba riuscire a dimostrare la genesi della coscienza creativa universale, che ciascun artista intuisce in sé, e mette in bella mostra, almeno parzialmente razionalizzandola, con le sue opere?
Ma forse c’è abbastanza da fare, anche solo valutando le polivalenze dei significati che scaturiscono dalle fenomenologie dell’arte e degli artisti, rispettandone le sacrosante alee di mistero, piuttosto che inseguire scientismi sostanzialmente adiafori.
Intendiamoci, la scienza va studiata eccome, anzi, non pare proprio che, nel secolo delle neuroscienze chi parla di arte possa permettersi più il lusso di ignorare i meccanismi neurofisiologici ed epigenetici che sono alla base dell’esperienza sensibile (quindi della memoria individuale), e della conoscenza trasmessa geneticamente alla progenie; ma non si parlerà di arte, e, con ogni probabilità non si discuterà nemmeno di alcun vero problema, se ci si occuperà di dimostrare una ipotetica, quanto non necessaria origine della coscienza dalla materia corporea.
Ci sono poi recenti studi altamente illuminanti in materia (come quelli riportati su Mente e Cervello – dic. 2014) dove si dimostra che la dopamina favorisce la creatività… che strano, infatti nessuno finora sapeva che molti artisti facessero uso di coca…
È chiaro che la biochimica fa la sua parte, ma chiunque si faccia di coca sarà un artista? lasciamo la risposta al lettore.
Senza contare che nell’editoriale della stessa rivista il direttore si preoccupa di riportare il seguente passo:
Nell’intervista apparsa nel 1932 su “Harper’s Magazine”, Thomas Edison pronunciò la celeberrima frase secondo cui “il genio è per l’1 per cento ispirazione e per il 99 per cento sudore”. E se lo diceva uno che aveva al suo attivo un migliaio di brevetti – tra cui un gingillo che ha cambiato la vita all’umanità come la lampada a incandescenza – c’è da credergli. Peccato che secondo Pablo Picasso, un altro tipo a cui saremmo tentati di prestare ascolto, in fatto di inventiva, “il principale nemico della creatività è il buonsenso”.
Sinceramente sembra che il bravo direttore sia più preoccupato di far dello spirito, piuttosto che anticipare un’analisi epistemologica estremamente semplice, e utile (siccome vogliamo proprio escludere che non ne abbia colto l’opportunità).
Non c’è bisogno, infatti di articolate considerazioni, per dimostrare quanto sia già evidente dalle dichiarazioni antitetiche di Edison e Picasso, che non vi è una strana discordanza sull’utilità, o sulla natura dell’intuito (come si dovrebbe arguire leggendo l’editoriale di Cattaneo), ma, evidentemente tanto lontane percentuali (soggettivamente pesate dagli illustri interessati) dell’”ingrediente” intuito, sono semplicemente correlate ai differenti campi di indagine di cui si occupavano i due personaggi, i quali ottennero risultati eclatanti, ciascuno nel proprio settore, impegnando certamente ben differenti percentuali di ragione e intuito, ma indubbiamente adeguatissime e assolutamente sinergiche e complementari rispetto ai rispettivi scopi.
Da una rivista che si vorrebbe qualificare come (accanto alla consorella “Le scienze”, di cui ancora si rimpiangono le antiche edizioni), l’unica divulgativa effettivamente seria per quanto riguarda questo tipo di problematiche, ci si sarebbe aspettati almeno anche qualche considerazione in merito alla probabilità che Edison e Picasso abbiano potuto pronunciarsi tramite iperboli, per sostenere, ciascuno dalla sua parte avversa, la convinzione del valore dell’intuito rispetto alla ragione, o viceversa.
Ma quando invece si penserà a condurre delle indagini un po’ più utili in materia? per esempio qualcosa del genere che possa iniziare a dimostrare come diverse attività orientate a sviluppare rispettivamente l’intuito piuttosto che la ragione debbano essere opportunamente previste e bilanciate nei programmi di studio delle scuole di diverso ordine e grado, e, a livello accademico, nelle diverse facoltà?