Harry Bertoia, “Leonardo” del ‘900

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Si supponga di chiedere a un artista di produrre una scultura non antropomorfa, in grado di sollecitare un sorprendente e diretto contatto con gli aspetti più luminosi, sereni e potenti del sentimento del sacro.

Il malcapitato autore, per ottenere l’effetto della presenza divina, quale solo certi maestosi scenari della natura riescono a indurre negli animi di chi ha fede, si troverà alle prese col problema di far emergere metafisica e trascendenza dalla “vile” materia, dovendo esprimere l’ineffabile e sublime grandezza dell’infinito mediante il finito: ossimoro assoluto.

Ma di fronte a tale compito non si è trovato impreparato Harry Bertoia, quando gli venne commissionata la scultura per la Mit Chapel. In alcune sue sculture egli aveva infatti già risolto la stessa problematica, poiché, un’esigenza del genere, da sempre la sentiva nel cuore: la spinta creativa che gl’imponeva di esprimere la propria condizione umana dotata di un profondo senso di appartenenza all’universo.

Ne sono nati capolavori privi di metafore, diretti, eloquenti, un vero e proprio linguaggio dell’arte aderente alla dimensione cosmica. Harry inventò molteplici strategie di integrazione dell’arte con la scienza contemporanea, mediante l’eleganza della scienza medesima, la quale, con l’alfabeto dell’analisi matematica formulava ormai le funzioni descrittive delle molteplici forme della natura: dell’infinitamente grande, dell’infinitamente piccolo, dei paradossi della fisica, delle anatomie del mondo biologico.

H.Bertoia - Multi plane construction, particolare; foto E.Falaschi

H.Bertoia – Multi plane construction, particolare; foto E.Falaschi

Negli anni ’50 del ‘900 era noto da mezzo secolo che la luce ha natura quantistica (corpuscolare) oltre che ondulatoria, grazie alla scoperta dell’effetto fotoelettrico, per cui Einstein ebbe il Nobel. E proprio nella luce Harry Bertoia individua quindi il mezzo fisico pienamente idoneo e legittimo dal punto di vista intuitivo, quanto sotto l’aspetto razionale, a mediare la comprensione della natura teoretica della materia.

Fra teoretica e metafisica poi il passo è breve, quanto condiviso e misteriosamente immerso nei meandri archetipali del pensiero e delle emozioni, dove risiedono appunto i sentimenti dell’universale e del sacro.

Così, nasce l’opera per la Mit Chapel: una cascata a effetti cangianti insorge dalla trasparenza del tondo di cristallo della volta, perforando con celeste potenza la penombra dell’alveo semplice e raccolto dell’interno, e piovendo sull’altare.

La semplicità tecnica con cui si ottiene un effetto al contempo tanto intimo e grandioso è disarmante: piccoli rettangoli di metallo increspato agganciati a breve distanza uno dall’altro a fili impercettibili che scendono a semicerchio dalla finestra circolare aperta sulla sommità della volta della chiesa. L’immanenza luminosa del divino penetra l’atmosfera essenziale dell’architettura di Eero Saarinen, in perfetta sinergia mistica.

Ma guardando l’effetto cangiante della pioggia di luce, sembra di poter udire anche un’armonia sonora, espressione lirica di musicalità cosmica, perché nulla è mai statico, e sorella del tempo è la musica. Il continuo scintillio della cascata di Bertoia è quindi sinestesico, sollecita l’udito con naturali e silenziose armonie, non diversamente dalle altre sculture di Bertoia che vivono sempre le quattro dimensioni, e molte delle quali opere sono veramente sonore. Guardandole e udendole la psiche s’immerge nell’ “immagine mobile dell’eternità”, con la quale Platone nel Timeo definisce il mistero concettuale del tempo.

Questo mirabile effetto era già stato in gran parte ottenuto da Harry Bertoia, quando inventò quell’intreccio cromato che realizza la sua unica scultura finalizzata a uso pratico: la sedia Diamond, opera forgiata con aria e acciaio, come lui la definisce.

Un quadrato “stirato” dalla tensione delle forze invisibili (e ancora per molti aspetti misteriose, anche se la loro azione è stata descritta dalla scienza), che governano l’universo.

H.Bertoia, Wire construction e monotipi; foto E.Falaschi

H.Bertoia, Wire construction e monotipi; foto E.Falaschi

“Dalla natura al segno” s’intitola infatti la mostra che la città di Pordenone ha dedicato quest’anno a Bertoia, nato il 10 marzo 1915 a San Lorenzo di Arzene, a pochi chilometri dal centro del della città natale di Giovanni Antonio de’ Sacchis. A lui è anche intitolata la galleria – di fronte alla pinacoteca cittadina, e a fianco dello storico palazzo del comune – destinata a ospitare in futuro altre mostre di arte moderna e contemporanea. Omaggio più che giusto e culturalmente proficuo.

Bertoia infatti è un artista epistemologo a tutto tondo, uomo d’intelletto raffinatissimo, che non disdegna certo impegnarsi anche nelle sue straordinarie capacità di homo faber. Anzi. Emigrato in negli Stati Uniti d’America a soli quindici anni, è qui che ha opportunità di frequentare le fucine dell’esercito, dimostrando, da subito, le sue straordinarie capacità nel disegno, e manuali. Qui impara i segreti per creare le nuove leghe metalliche, che gli permetteranno di forgiare personalmente le sculture da lui ideate, e assemblarle con la straordinaria tecnica della saldatura elettrica, che non lascia traccia del punto di saldatura.

H.Bertoia, Multi-plane construction, 1955 circa; foto A.Simonella

H.Bertoia, Multi-plane construction, 1955 circa; foto A.Simonella

Harry non cerca mai il successo, e nemmeno specula sulle proprie capacità per trarre profitto, anche quando l’occasione gli si presenta facile. Ciò che gli interessa è la sua ricerca, la possibilità di creare le sue opere performative, per soddisfare la necessità di affermare la propria appartenenza all’universale ologramma di cui intuisce l’essenza, alcuni decenni prima che il grande matematico recentemente scomparso Benoit Mandelbrot, scoprisse l’operatore frattale.

Alcuni curatori di una certa mostra italiana in tema di scienza e arte hanno di recente pubblicato la loro sentenza, per cui la scienza risolve, e poi apre nuove problematiche, mentre l’arte, ha funzione prevalentemente descrittiva. Bertoia, che non di rado è menzionato come “designer”, in quanto spesso viene ignorata la sua vera identità di scultore e sperimentatore dell’ignoto per antonomasia, li boccia in pieno. Per quanto tempo si dovrà ancora sopportare che la moderna inquisizione del riduzionismo disconosca il valore degli artisti e degli scienziati più brillanti alterandone il vero messaggio modale?

Ma, per tornare alla mostra di Pordenone, sarà necessario invece sottolineare l’intelligenza dell’allestimento, che, in linea perfetta con lo spirito dell’artista, inserisce le opere in uno spazio globale, dove gli stimoli provenienti dalle forme si autoreplicano naturalmente sulle pareti, ed echeggiano ovunque, attraverso ombre, filmati di repertorio, note cosmiche, che emanano dalle sculture sonore senza la minima incrinatura nel dis-cursus emblematico, lirico, e libero, che gli spazi medesimi sono in grado di ritmare, grazie anche a un recente felicissimo restauro del palazzo.

Harry Bertoia, sedute

Harry Bertoia, sedute

La collezione antologica delle opere che sono ospitate non è vastissima, se si considera quanto Bertoia ha prodotto, ma è comunque rappresentativa, e di grandissimo pregio. Ne emerge ciò che da ogni mostra dovrebbe sempre scaturire come messaggio prevalente: la personalità dell’artista attraverso la fruibilità delle sue opere.

Angelo Bertani, storico dell’arte, il quale, in collaborazione con l’associazione “Amici di Harry Bertoia”, (di cui è membro, accanto a  Elena Bertoia, Francesco Orlando, Stefano Jus, Ottavia Salvador e Lucio Bertoia), ha curato la mostra che celebra il centenario della nascita dell’artista, ha perfettamente ottenuto l’obiettivo di allestire un’esposizione che si racconta nei propri contenuti epistemologici, coerentemente agli elementi che consentono di recuperarli nel contesto della biografia di Harry Bertoia.

Bertani sottolinea come costruttivismo e surrealismo, apparentemente inconciliabili, si siano trovati perfettamente funzionali l’uno all’altro in terra nord-americana, dove Bertoia realizza la sua celebre poltrona Diamond, poi in grado di conquistare  il mondo.

Harry Bertoia, seduta

Harry Bertoia, sedute

Guardando la rete formata dal disegno della Diamond, si ha oggi l’impressione di osservare unframe di natura familiare, poiché si è ormai invasi da figure realizzate grazie al supporto della grafica computerizzata. “Ma negli anni ’50 – rileva il professor Bertani – il Cad-cam non esisteva di certo, e gli ergonomicissimi paraboloidi che accolgono come in un grembo le curve fisiologiche del rachide, sono stati pensati da un formidabile cervello puramente biologico”.

Che Bertoia possedesse qualcuna in più di quelle famose “antennine” capaci di percepire l’ubi consistam della coscienza universale ipotizzate a fine carriera da Wilder Penfield (il neurochirurgo che ha scoperto l’homunculus corticale)?