Il Quattrocento a Urbino
Marta Fiorentini
Lo storico dell’arte Andrea Chastel scrive che, dopo l’Umanesimo filosofico sorto a Firenze e l’Umanesimo epigrafo padovano, nel panorama variegato del Rinascimento italiano si distingue l’Umanesimo matematico, sviluppato nella seconda metà del ‘400 a Urbino presso la corte di Federico da Montefeltro. Questo filone ha come protagonisti il matematico Luca Pacioli e il pittore Piero della Francesca.
Il territorio marchigiano riflette, forse meglio di ogni altra zona, la varietà del linguaggio artistico creatasi in area centro-italiana grazie ad un ampio circuito di scambi che coinvolge insieme l’Emilia, la Lombardia ed il Veneto. Si sviluppano così episodi figurativi paralleli all’attività di Gentile, tra cui spicca l’opera dei fratelli Salimbeni.
Lorenzo e Jacopo Salimbeni, nati a San Severino nel primo ‘400, sono pittori di cui è sconosciuta l’origine della loro “maniera ricca di eleganza e grazia.”. Proprio i Salimbeni nel 1416 inaugurano la stagione dei grandi cicli della pittura moderna, rinnovando la tradizione del racconto trecentesco, dei continuatori di Giotto e dei riminesi ed aprendo la strada al folgorante esito della cappella Brancacci di Masaccio. I due fratelli mostrano un timbro così schiettamente nordico che li rende del tutto autonomi rispetto a Gentile e suggerisce l’ipotesi che in questa regione si sia affacciato da tempo il gusto settentrionale. Lorenzo Salimbeni, di cui si hanno notizie dal 1400 al 1420, realizza l’altacolo con le nozze mistiche di Santa Caterina, considerato un precoce esempio di apertura al linguaggio lineare gotico cortese e alla cultura boema e tedesca. Ma l’opera più celebre di Lorenzo, a seguito di suo fratello Jacopo, è il vasto ciclo con la “Crocifissione” e “le storie del Battista”, affrescato nell’oratorio di San Giovanni a Urbino, datato 1416. Gli affreschi dei fratelli a Urbino sono in pittura e su scala monumentale il capolavoro, a livello europeo, del gotico internazionale del quale contengono tutti gli ingredienti, sia quelli più raffinati, sia quelli di riscoperta della realtà e di intensa partecipazione espressiva emotiva.
Se nella prima metà del ‘400 la penisola italiana appare ancora geograficamente e politicamente molto frammentata , dopo la pace di Lodi stipulata fra la repubblica di Venezia e il ducato di Milano nel 1454, si assiste ad un progressivo semplificarsi della scena politica, dominata da cinque grandi stati regionali: oltre a Venezia, Milano, lo Stato pontificio e la Repubblica fiorentina si sviluppano centri minori, la cui ascesa è favorita dalla politica di non aggressione attutata dagli stati maggiori. Acquisiscono grande peso le signorie dei Gonzaga a Mantova, degli Este a Ferrara, dei Malatesta a Rimini e dei Montefeltro a Urbino.
Proprio Urbino, piccolo centro stretto fra lo Stato della Chiesa e le terre dei Malatesta, assume un ruolo capitale nel Rinascimento artistico culturale europeo, grazie alla figura di Federico da Montefeltro, conte e poi duca della città dal 1444 al 1482. Valoroso condottiero e raffinato umanista, Federico è uno dei principi più colti del suo tempo, al pari di Lorenzo il Magnifico, grande mecenate.
La fortuna della casata dei Montefeltro inizia intorno al 1420, quando, allineandosi alla politica di papa Martino V, ne diventa il braccio armato e politico nelle Marche. Federico da Montefeltro governa il Ducato di Urbino dal 1444 al 1482 e, assecondando sempre le politiche pontificie, sostiene prima Pio II nella campagna militare contro Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, poi Sisto IV contro Lorenzo de Medici. Ottiene, quindi, in cambio di tali alleanze, ricchezze, potere ed il titolo di duca. Simbolo della grandezza ed del potere acquisito dal Duca Federico da Montefeltro è il magnifico palazzo ducale, fulcro della citta.
Nell’arco dei trent’anni della sua costruzione, iniziata nel 1445, l’edificio vede all’opera numerosi architetti. Il maestro fiorentino Maso di Bartolomeo realizza il primo corpo di fabbrica rettilineo secondo i canoni dell’architettura gotica. Nel 1464 la direzione dei lavori passa all’architetto dalmata Luciano Laurana, che, risentendo dell’influenza di Leon Battista Alberti, attivo alcuni anni prima nella vicina Rimini Malatestiana, amplia la costruzione e la inserisce in una struttura più complessa e classicheggiante, completata nel 1472 da Francesco di Giorgio Martini . Emblema di questa eterogeneità di stili è “la facciata dei Torricini” che sovrasta l’intera vallata del Metauro, armonica ed ariosa in pieno stile rinascimentale. Al suo interno si trova il celebre studiolo collocato al di sopra della Cappella del Perdono e del Tempietto delle Muse, sintesi fra pensiero cristiano e classico. La decorazione dello studiolo riflette da vicino la concezione che il potere debba fondarsi sulla conoscenza, fonte di virtù. Il duca commissiona le tarse lignee, nel registro inferiore dello studiolo, alla bottega fiorentina di Baccio Pontelli, mentre la fascia mediana, costituita da un doppio giro di dipinti, è realizzata dal fiammingo Giusto de Gand e dallo spagnolo Petro Berrughete e glorifica gli Uomini illustri, 28 personaggi significativamente scelti per la loro virtù fra pensatori, letterati, scienziati antichi e moderni , oggi divisi tra il museo del Louvre e il palazzo Ducale; la fascia più in alto celebra le doti personali di Federico, ricordate da un iscrizione: “FEDERICUS MONTEFELTRUS/DUX URBINI MONTIS / FERITRI AC/DURANTIS COMES SER/ENISSIMI REGIS SICILIE CAPITANEUS GENERALIS SANCTEQUE ROMANE ECCLESIE GONFALONERIUS MCCCCLXXVI”. Con straordinario effetto illusionistico le tarsi prospettiche, disegnate fra altri da Botticelli e Francesco di Giorgio, presentano la stanza come se il duca l’abbia momentaneamente lasciata per una pausa dallo studio.
Il duca Federico da uomo ed esperto conoscitore di letteratura, matematica e architettura chiama al suo servizio artisti e studiosi quali l’umanista Vespasiano da Bisticci che istituisce una delle più fornite e prestigiose biblioteche del tempo, ricca di testi classici e filosofici, ora in gran parte conservati nella Biblioteca Vaticana. Il manoscritto più prezioso della biblioteca è la “Bibbia” di Federico da Montefeltro (1422-1482), scritta e dipinta a Firenze nella bottega di Francesco di Antonio del Chierico per il Duca Federico. La data di questo capolavoro della miniatura fiorentina è registrata nei due anni 1477-1478, quando il duca aveva 55 e 56 anni.
Se Urbino è definita sede dell’ “Umanesimo matematico” è perché, tra il 1470 ed il 1480, nella corte dei Montefeltro si fanno le più ardite sperimentazioni sulla prospettiva e si mettono in atto le linee guida dell’armonia delle proporzioni e della bellezza ideale. Uno dei primi autori di queste ricerche è il matematico francescano Luca Pacioli.
In questo clima di fervore artistico arriva ad Urbino Piero della Francesca che ha rapporti con il duca sempre più stretti a partire dai primi anni sessanta. Entrambi promuovono insieme una sorta di Umanesimo razionale e matematico, basato sull’idea che il mondo visibile è regolato da formule geometriche e calcoli aritmetici. L’universo che Piero rappresenta è un mondo in equilibrio, governato dall’armonia e la cui essenza è riconducibile alla perfezione della forma geometrica, pienamente fiduciosa nella possibilità dell’uomo di comprendere il creato attraverso i teoremi matematici. La perfetta sintesi tra forma e luce, la rilevanza data all’architettura e la resa minuziosa dei dettagli dimostrano un aggiornamento avvenuto a Rimini con Leon Battista Alberti (1451) e soprattutto la conoscenza della pittura fiamminga, ottenuta a Ferrara nel 1450, mentre esegue gli affreschi nel castello Estense, oggi perduti. È ad Urbino che il pittore raggiunge la più compiuta sintesi fra razionalizzazione dello spazio, derivante dalla formazione fiorentina, e una nuova sensibilità per i rapporti cromatici e gli effetti di luce, dovuta alla conoscenza della pittura fiamminga. Tale fusione è ben riconducibile nella celeberrima Pala Montefeltro, detta anche Pala Brera, conservata nel medesimo museo dal 1810, manifesto dell’Umanesimo matematico trionfante alla corte di Federico. L’opera proveniente dall’altare maggiore della Chiesa francescana di San Bernardino a Urbino, nella sua apparente semplicità, presenta una complessità singolare, in cui ogni singolo aspetto o dettaglio a partire dall’architettura, il variare della luce, la scelta dei personaggi e quella dei colori appare studiato. Il grandioso fondale classico con la volta a botte e la conchiglia nella calotta absidale sono memori degli esempi albertiani delle antiche architetture romane, ma un altro effetto stupefacente è costituito dalla vibrante luce che irrompe da sinistra diffondendosi tra le nervature edilizie. Alla Vergine assorta nella contemplazione del Bambino dormiente spetta la posizione più rilevante, non solo perché è emblema della Chiesa, ma anche perché ritratta con il volto di Battista Sforza, moglie di Montefeltro, morta pochi mesi dopo il parto, e che, assente nel quadro, avrebbe dovuto trovarsi ai piedi del suo santo omonimo, il Battista. Il bimbo che dorme sulle ginocchia della Vergine rappresenta il figlio, Guidolbaldo, l’erede al trono di Urbino. Federico ritratto in primo piano, inginocchiato in armi, è il condottiero vittorioso che ringrazia per la conquista di Volterra (1472). Questa è l’ultima opera del pittore che poi si ammala e diviene cieco. La Pala, infatti, è completata dall’artista Pedro Berruguete, riconoscibile in alcune parti ad olio come le mani del duca in preghiera. In questo ambiente, che colloca la radice divina della bellezza nelle proporzioni armoniche delle creazioni artistiche, Piero scrive dei trattati di architettura come “De prospectiva pingendi”, dedicato proprio al Montefeltro, ed il “De Quinque corporibus regolaribus”. L’opera di Brera conclude la sua carriera artistica, come ricorda Giorgio Vasari nelle sue celebri “Vite“, ma proprio quest’ultimo dipinto trova fra i più acuti osservatori: Bramante ed il giovane Raffaello.
Il Duca Federico muore il 10 settembre 1482 mentre è a capo dell’esercito del Duca di Ferrara, opposto a quello papale e veneziano, e viene sepolto nella Chiesa di San Bernardino a Urbino. Il ducato saluta il suo grande principe e da il benvenuto a suo figlio Guidolbaldo, sposo di Elisabetta Gonzaga, che assume il dominio di Urbino con momenti di grande incertezza politica fino al 1508, dove, all’età di 36 anni, muore per una grave malattia. La dinastia prosegue ma il suo nome è indissolubilmente legato alla figura di Federico, grande uomo di guerra ed illustre mecenate, che è riuscito a fare di Urbino, città sino ad allora ai margini delle vicende culturali d’Europa, uno dei più raffinati centri dell’Umanesimo.