Vanni Viviani
Francesco Martani, Vittorio Spampinato
Chi conosce le opere di Vanni Viviani pensa subitamente alla “pomaria”, alle mele, ai pom, come soleva riferire l’artista; ma chi l’ha conosciuto, come il sottoscritto, lo ricorda e ne parla diversamente.
Quelle mele rappresentano per lui solamente variabili di possibili riferimenti culturali.
Io l’ho conosciuto molte volte nelle ore pomeridiane in via Belle Arti a Bologna, poco distante dall’Accademia, nella città di Morandi, ove egli aveva un amico caro: Concetto Pozzati, pure artista. Noi due, mantovani, mangiavamo spesso assieme un pezzo di pane con salame, negli intervalli pomeridiani, e ci soffermavamo su varie memorie della nostra terra, alle radici della nostra natura umana. Le mele, le spighe di grano, o rami qualunque, Vanni Viviani li osservava, e spesso li raccoglieva e poi a casa, nel suo studio, li applicava con la colla, su un supporto di legno, fissandole con sostanze conservanti per creare delle icone, volute metamorfiche e metafisiche. Spesso disponeva tali frammenti in conformazioni labirintiche per avere l’immagine di una testimonianza politica; in tal modo l’artista con dialettica forbita, acutamente intellettiva evocava con toni mentali la civiltà rurale, quella natura che reperiva nel proprio animo ricolma di valori mnemonici, da proporre al prossimo ricca di bellezza poetica.
La sua arte, la pittura divenne presto scultura, creando immagini caravaggesche, piene di verità, di vari lessici, di stilemi vari, identificabili nel suo proprio linguaggio poetico. Vanni ha attraversato tanti linguaggi, modificando contesti culturali attraverso resoconti poetici divaganti, professando, affermo, la logica del mentitore. Assai, e spesso, ha sostenuto con le sue mele attraverso rimaneggiamenti vari, processi mentali nel fruitore, nell’ascoltatore, attraverso la sua tavolozza apparentemente semplice, ma ricca, di vitalità proporzionata e pulsante. Il frutto ha rappresentato la sua figura, attraverso connotazioni di simboli, come punti specificatamente nobili di elementi, nei vari titoli dei cicli e degli inserti profondi.
Poi, verso la metà degli anni settanta , alla pittura evocativa aggiunge figure geometriche di identità architettoniche, dove la mela assume morfologie metaforiche creando percorsi magici e indeterminati, come a ricoprire la casa, gli alberi, quelle morfologie varie che conducono al cuore dove poi la mela è sempre stata presente.
Vanni Viviani poi, negli agli anni ’80, porta sulla tela immagini, modelli linguistici elaborati, in modo concettuale nel suo animo, intellettualmente abilitato a trasmutare elaborati della conoscenza culturale e linguistica dei grandi del Rinascimento, quali: Leonardo, Piero della Francesca, Giulio Romano, Caravaggio… Viviani non muta le cose che vede, ma le falsifica per farle apparire ancora più vere del vero, per dare al fruitore intelligente la possibilità di rimanere stupito, di sentirsi a sua volta vero attore, regista, tra le sue innovazioni; in altri termini, crea una commedia umana attraverso un fiore, una mela, un libro.
Viviani va quindi alla ricerca della bellezza, dell’amore di cui ha tanto bisogno, per il suo animo, ma soprattutto della verità, tra le rovine dell’archeologia del suo teatro.
Vanni ha lavorato molto nella ricerca di morfologie, nell’uso dei colori nella forma della pittura, onde reperire una stabilità tra la sua emozione e la razionalità.
Molte delle sue opere hanno rappresentato una recondita simbologia religiosa, a nutrizione dei suoi tanti simboli che teneva e ha tenuto in serbo, e che hanno rappresentato il punto focale della propria ambiguità, a definire in modo metaforico la propria condizione umana attiva e sempre in atto.
Nelle sue morfologie astratte ha cercato narcisismi, nei quali ha identificato il proprio discorso.
Vanni Viviani è stato un pensatore, che nella propria libera moralità, attraverso le sue opere ha trovato l’essenza della propria spiritualità. Egli ha sempre accompagnato le sue opere con riflessioni umanistiche di quella cultura che lo ha sempre tenuto religiosamente legato alla terra, dove reperiva i motivi della sua vita.
Vanni veniva considerato dai critici un essere intelligente, da amare, che attraverso la mela ha consegnato un messaggio universale, dove noi reperiamo il segreto, l’oggetto, il paesaggio, il corpo, il sentimento, la descrizione umana, ma anche un’allusione sorridente che cela inganno.
Francesco Martani
Le mele, le spighe, i labirinti; così come le torri, le maschere, e altro ancora.
Potremmo forse sintetizzare Vanni Viviani come l’artista di un proprio ed originale sur-realisme pseudo metafisico e “popolare”, laddove per popolare e metafisico – per dirla magari con tecnicismi azzardati – si possa intendere “la rappresentazione ripetuta e ricorrente di oggetti-icone, legati a titolo alla metafora del sogno, quali matrice originale di un proprio, benché già universale, dettato simbolico”. Con giocosa maestria, così, nella pittura di Vanni Viviani le maschere diventano mele con la stessa facilità con cui i paesaggi diventano labirinti, oppure viceversa: titoli usuali, ricorrenti, rappresentativi e rappresentati così tanto da diventare perenni nell’immagine, nella pittura, nella “griffe” di questo artista dalle icone moderne ed immediate.
Vanni Viviani è riconosciuto come artista pieno, promotore di un modo ben visibile e diretto di far godere al fruitore dei suoi lavori il linguaggio originale e composito di apparenze concrete e nel contempo effimere, sospese e nello stesso tempo solide. E questo avviene, come ha definito qualche autore, in una sintesi efficace e simbolica di grande “scorrevolezza e fragranza”, grazie ad immagini dall’approccio apparentemente facile, di colore vivo, fresco, di luce irradiante e di grande pulizia estetica.
Qui sta, forse, la scommessa dell’artista, il far arrivare cioè attraverso un’identità simbolica di estrema comprensione, in un’epoca in cui permane fervida e costante la sfida dichiarata fra il concettuale e la figurazione, la condizione dell’uomo posto sempre in discussione, in riflessione, in valutazione, costretto nei legacci della propria identità e della propria psiche.
Ma non solo. Qui sta, forse, anche il vero gioco del Viviani, il “suo” gioco: porsi cioè ancora oltre, al centro di quel gioco delle parti, nell’angolo di quella più piccola e recondita speranza di raccontare la verità più vera delle nostre forze e debolezze, certezze e frustrazioni, nel più complesso e articolato gioco della vita grazie al simbolo delle sue icone scelte ad hoc, guerrieri, forse, di una battaglia mai conclusa contro l’ombra di noi stessi.
In entrambi i casi stessa ironia, stessa malinconia, narrativa e determinata, dell’uomo alla ricerca del centro di se stesso e del proprio equilibrio, quasi a significarci che i contenuti degli sforzi scientifici di Freud, volti a dispiegarci il sogno e i suoi complessi significati delle più sommerse esperienze infantili, sessuali e passionali, si ritrovano nella leggerezza e nella purezza delle immagini, nella forza e nel significato emblematico del segno.
Proprio in questo, a mio avviso, sta la potenza della pittura di Vanni Viviani, un’arte assoluta di sintesi tra il colore e la forma, e che riassume in un linguaggio immaginario e favoloso le pulsioni di un uomo libero.
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