I tre volti della crocifissione Donatello a Padova

ricerca di Marilena Bordin

Il Crocifisso fa parte dell’iconografia cristiana quale emblema primario della fede, pur essendo comparso nella storia del cristianesimo solo in epoca medievale, riprendendo gli antichi ed eleganti schemi ereditati da Bisanzio.

Infatti la croce è stata per lungo tempo rappresentata sullo sfondo delle prefigurazioni, immagini che ne svelano il valore salvifico ricollegato alla metafora dell’Agnello. Nel corso del XIII e XIV secolo si riscontra la presenza dei primi Crocifissi affrescati, o dipinti su grandi tavole di legno poste all’interno delle chiese domenicane e francescane (si ricordi il Crocifisso di Padova realizzato da Giotto nel 1304 circa, per la Cappella degli Scrovegni).

Dal latino crux – crucis, (l’etimologia ne dà la probabile derivazione dagli uncini utilizzati per assemblarla, ma il vocabolo estenderà presto il proprio significato per antonomasia a qualsiasi tortura), la croce, nella storia, ha rappresentato simbolicamente nel contesto della cultura cristiana l’asse del mondo, e il punto d’incontro tra le figure fondamentali del quadrato (la terra), e del cerchio (il cielo), la cui intersezione costituisce il ponte attraverso cui le anime possono assurgere a Dio.

Il volto di Cristo nel Crocifisso della Basilica di Sant'Antonio a Padova; Donatello

Il volto di Cristo nel Crocifisso della Basilica di Sant’Antonio a Padova; Donatello

Ma analizzando il simbolo da un punto di vista prettamente religioso, connesso all’immagine del Salvatore, la croce si distingue in croce della Passione, e croce della Redenzione. Tale divisione rispecchia i suoi elementi costitutivi: l’asse verticale, emblema di Dio, della spiritualità e dell’eterna beatitudine, e quello orizzontale, simbolo della dimensione umana, terrestre, della negatività e del dolore.1

Il Crocifisso ha quindi un “corpo simbolico”, ma ormai si avverte l’esigenza di mutare la figura in realtà, proprio attraverso l’immagine di Gesù, che è la manifestazione definitiva della rivelazione di Dio. Quindi si tratta di dare un corpo fisico alla grazia dell’incarnazione.

Attraverso la devota contemplazione del “Verbo fatto uomo” ora si può comprendere il suo agire filiale, che, nell’obbedienza totale al Padre, accetta su di sé la sofferenza e la morte, trasfigurandole. Cristo crocifisso, infatti, mediante la propria catarsi, trasformerà la croce in simbolo di vittoria, affrancando quindi dalla morte, nella vita eterna, la cristiana umanità.2

Seguendo tale assunto nascerà il Cristo vittorioso sulla croce, un Cristo crocifisso ma con gli occhi aperti, che ci guarda. Rappresentazione la quale trova le sue radici nell’arte romanica e gotica, e si affermò tra il Duecento e il Trecento (si vedano le iconografie del Christus triumphans e del Christus patiens). A conferma che, se, prima, il fedele aveva bisogno di vedere il Figlio di Dio solo ed esclusivamente in tutta la sua infinita maestà, contraddistinto da un volto sereno e imperturbabile con indosso la sua preziosa tunica, ora tale immagine lascia il posto a quella dell’uomo nato dalla donna prescelta da Dio, che sulla croce chiede compassione all’osservatore devoto: abbandonandola preziosa veste egli indossa un semplice perizoma, che consente di vedere, ed enfatizza, i segni lasciati dalle torture subite.

Effige che suscita un’esperienza spirituale, la quale coagula al suo interno gli antipodi della sofferenza e della gioia, di passione e di pace, simbolo dell’amore assoluto che di Dio Padre prova per gli uomini, manifestandolo attraverso la Pasqua del Figlio.3

Affine a questa prima tipologia di Cristo è il Crocifisso di Santa Croce del 1410 circa, attribuito ad un giovane Donatello appena

Crocifisso di Santa Croce; Donatello

Crocifisso di Santa Croce; Donatello

uscito dal suo apprendistato presso il Ghiberti, opera attualmente esposta nella mostra padovana “Donatello svelato”. Il pezzo scultoreo è a grandezza naturale (168×173), e, stando alle fonti è documentato dal 1510, ma a tutt’ora si ignora l’identità del committente, e da quanto tempo l’opera sia stata posta nella sua sede attuale (la Cappella Bardi di Vernio ubicata all’interno della Basilica di Santa Croce a Firenze).4

L’attribuzione di quest’opera all’ingegno di Donatello è suffragata unicamente dal celebre episodio narrato dal Vasari all’interno delle sue Vite. Qui viene riportato, che, Donatello, sentitosi offeso dall’aspro giudizio di Filippo Brunelleschi, il quale lo aveva tacciato di aver messo in croce un “Contadino”, preso dall’impeto, sfidò il collega e amico a realizzare un Crocifisso migliore del suo, sfida la quale portò alla realizzazione del Crocifisso di Santa Maria Novella (opera di cui si tratta nel seguito).5

La mancanza di documentazione ha lasciato aperta l’ipotesi di un’altra possibile paternità del Crocifisso di Santa Croce, a causa delle connotazioni stilistiche, per cui viene di sovente avvicinato alle opere di Nanni di Banco – ipotesi molto ben approfondita e comparata stilisticamente da Parronchi nel suo saggio “Su tre Crocifissi”.6

Tale ipotesi viene resa possibile e plausibile dalle parole del Vasari, il quale informa che Nanni di Banco era tra i discepoli ed eredi testamentari di Donatello, e, che, quindi, conosceva perfettamente lo stile del Maestro.7

Seguendo la corrente di pensiero del Cristo vittorioso, quest’opera ci mostra il Salvatore ormai privo della sua veste, e unicamente coperto da un elegante perizoma, che ne cinge i fianchi sino a coprirne un ginocchio. Il tessuto è scandito da eleganti pieghe falcate, che rammentano il Ghiberti.

L’adozione della nuova soluzione iconografica permette finalmente di poter vedere il corpo di Cristo, e di coglierne quindi la connotazione umana, nella sofferenza sostenuta con fierezza. La figura del Cristo in croce non è qui contraddistinta da una assoluta precisione, poiché il corpo slanciato e la vita sottile contrastano con un torace molto dilatato, quasi con i muscoli tesi.

L’immaturità artistica del giovane Donatello, o dell’inesperto Nanni di Banco, accentua in questo caso il dramma della Passione, la quale viene invece consapevolmente enfatizzata nel volto di Cristo, ove le palpebre socchiuse, le pupille, che spiccano nella residua falce bianca dei globi oculari, permettono di incrociare lo sguardo di chi osserva con il Suo per condividerne il dolore.

Le labbra, lievemente aperte, sembrano esalare l’ultimo caldo alito di vita, prima che Cristo venga abbracciato dalla morte e, quindi, la vinca. Il volto è appunto sofferente ma fiero, e simultaneamente straziante a causa delle gocce di sangue rosso vermiglio, che colano sul capo, richiamo all’omessa corona di spine.8

Il patetismo che caratterizza questo Cristo ligneo sarà risultato ancor più struggente e suggestivo, quando, durante la Settimana Santa veniva calato dalla croce e utilizzato per inscenare la deposizione nel sepolcro.

Invero che le sue braccia sono unite alle spalle grazie all’ausilio di perni che permettono di abbassarle lungo i fianchi.9

Arguto ingegno dal sapore medievale, che fa ancor più cogliere come il fedele ora necessitasse di confrontarsi con un Cristo-uomo.

Proseguendo la visita della mostra padovana, si ha la possibilità di affrontare un altro degli aspetti della crocifissione.

Il secondo Cristo in croce, anticipando di gran lunga il pensiero luterano che squarcerà in due l’Europa del Cinquecento, presenta il Crocifisso come segno della vittoriosa misericordia di Dio. Qui l’uomo peccatore incontra la santità e maestà di Dio, che mediante la morte del Figlio salva il condannato (l’umanità peccatrice).

Questo è l’opus proprium di Dio (che dà la vita), ma attraverso l’opus alienum (dando la morte e giudicando). Quindi solo mediante la dialettica dei contrari si riesce a capire il comportamento e il rapporto che Dio ha con gli uomini. Cristo sulla croce realizza un salvifico scambio, accetta su di sé, si veste degli umani peccati, e, in cambio, dona agli uomini la propria santità. Così facendo Egli stesso diventa peccato, e accetta il castigo divino. Gesù flagellato sulla croce si spegne per risanare i peccati dell’umanità in un doloroso scambio tra l’umano errare e il perdono divino.10

Crocifisso della chiesa dei Servi di Maria;Donatello

Crocifisso della chiesa dei Servi di Maria;Donatello

Il Crocifisso della chiesa di Santa Maria dei Servi di Padova, come il precedente, è realizzato in legno di pioppo, ed è a grandezza naturale (183×190). Da sempre è al centro di un dibattito teologico, dato che stando alle fonti nella Quaresima della Settimana Santa (9 aprile 1512), pare che questo Crocifisso abbia trasudato sangue dalla fronte e dal costato.11

Prima che, nel 2006, si iniziassero gli studi, secondo i quali, nel 2008, si attribuì con certezza il Crocifisso a Donatello, l’opera veniva assegnata alla scuola dello stesso maestro. Analizzando le fonti inerenti al Crocifisso dei Servi di Maria si è potuto stabilire, pare senza ombra di dubbio, che quest’opera sia stata realizzata dalla mano esperta del maestro toscano.12 Non per nulla all’interno della stessa chiesa era già presente una Beata Vergine certamente eseguita da Donatello.

Per quel che riguarda la datazione dell’opera si può ipotizzare che essa non possa esser stata concepita prima del 1421 (e probabilmente venne eseguita nel 1440) poiché, le croci lignee si imposero in pieno Quattrocento, dopo i Crocifissi dipinti di Giotto e Cimabue.

In seguito a tali considerazioni, si può affermare che il Crocifisso dei Servi di Maria sia la prima opera che Donatello donerà alla città di Padova.

L’utilizzo del verbo donare non è casuale perché quest’opera non è stata realizzata nella città del Santo, ma a Firenze (come il San Giovanni Battista del 1438 per la chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia – le due sculture infatti mostrano un indubbia somiglianza fisiognomica, essendo il volto di Cristo ripreso da quello eseguito due anni prima per il Battista), e solo in seguito spedito personalmente dall’artista alla chiesa dei Servi di Maria. Questo Crocifisso molto probabilmente venne quindi concepito da Donatello come risposta a quello realizzato da Filippo Brunelleschi per Santa Maria Novella a Firenze.13

Confrontando i due Crocifissi, quello eseguito da Brunelleschi, e quello di Donatello, non si può non notare l’assoluta affinità

Crocifisso di Santa Maria Novella; F.  Brunelleschi

Crocifisso di Santa Maria Novella; F. Brunelleschi

tra le due opere, nonostante il primo sia più arreso e obliquo, mentre il secondo più stabile e sofferente. Tanto è vero che Donatello riprenderà da Brunelleschi la perfetta resa anatomica, l’utilizzo di una corona di spine ottenuta attraverso l’ausilio di una corda intrecciata, e il perizoma ricavato da un cencio di lino imbevuto nella colla e nel gesso per fasciarne il bacino (drappo perduto in entrambi i casi).14

A differenziare e ad allontanare concettualmente i due Crocifissi è il loro volto, nel primo realizzato da Brunelleschi, viene presentato un gelido viso, che non sembra appartenere a persona viva; al contrario, Donatello, raffigura il volto di un Cristo-uomo e la sua sofferenza.

Il volto di Gesù le sue guance scavate, la bocca lievemente socchiusa, lo sguardo ormai completamente velato e impossibile da incrociare, sono la palese manifestazione del dolore che sta provando. Tale immagine di Cristo mostra un uomo che sta esalando l’ultimo respiro con dolore e fatica. Dolore e fatica procurati dalla visibilmente profonda ferita del costato, quasi a preannunciare l’evento miracoloso, che pare sia stato riscontrato il 9 aprile 1512.

Il Crocifisso dei Servi di Maria nella sua assoluta precisione anatomica, e nella resa materica, che, simulando il bronzo, cela la sua reale consistenza lignea, sarà la base su cui poi verrà plasmato, pochi anni dopo, il Crocifisso per la Basilica di Sant’Antonio a Padova.

Questo ultimo Crocifisso mostra l’estremo volto della crocifissione, Gesù morto sulla croce. Tale iconografia abbraccia la grande voglia di realtà che pervaderà il Quattrocento, in seguito alla scoperta e adozione della prospettiva. Gli artisti da questo momento in poi non si accontenteranno più di riprendere i vecchi schemi medievali, al contrario, cominceranno a studiare attentamente il corpo umano, chiedendo ai modelli di posare per loro nelle pose desiderate; ciò conferirà all’opera un nuovo senso di realtà e persuasione. Ora, arricchita da una maggior attenzione ai particolari, che donano una migliore resa plastica e anatomica, viene portata ancora di più al centro della questione l’umanità di Cristo. Un Cristo, che, però, non sta più soffrendo per noi sulla croce, non sta esalando l’ultimo caldo respiro di vita, ma è ormai morto.

Emblematiche per questa nuova tipologia di Crocifisso sono le rappresentazioni in cui non ci si concentra troppo su Gesù che soffre sulla croce, quanto, piuttosto, sul suo cadavere, raffigurato con un estrema attinenza, e aderenza al dato reale (a tal proposito si possono rammentare la Trinità affrescata da Masaccio nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze nel il 1426-1428 e il Cristo morto che Andrea Mantegna realizzo nel 1475-1478 attualmente conservato nella Pinacoteca di Brera).

Il Crocifisso ora è una presenza fisica che appartiene al mondo terreno, lo si può vivere e toccare, è ormai in tutto e per tutto simile a chi lo contempla. Malgrado ciò la cultura del Quattrocento continuerà a perpetuare il rito della salvezza dell’uomo che si compie attraverso il sacrificio di Gesù sulla croce.15

Crocifisso della Basilica di Sant'Antonio; Donatello

Crocifisso della Basilica di Sant’Antonio; Donatello

Con il suo volto emaciato, consumato dal dolore e ormai privo di vita il Crocifisso di Sant’Antonio, realizzato da Donatello aderisce in pieno a questa nuova sensibilità.

Il Crocifisso bronzeo a grandezza naturale (180×166) creato da Donatello per la Basilica padovana è l’unica tra le opere che egli realizzò per la città a essere documentata, quindi a non lasciare alcuna perplessità in campo attributivo. Quest’opera è un unicum nel suo genere, dato che non era insolito trovare nelle zone settentrionali della penisola Crocifissilignei di tali dimensioni, ma non se ne erano mai visti prima in bronzo.16 Per quanto riguarda la sua datazione, dalle fatture rimaste in archivio si sa che Donatello dal 24 gennaio 1444 era a Padova, e stava lavorando alla realizzazione di questo Crocifisso che terminò solo nel 1449.17 Il Crocifisso rimase collocato al centro della Basilica sino al 1487, e successivamente venne posto sopra l’ingresso del coro; solo in seguito sarà assemblato all’Altare del Santo (cosa che non corrisponde al progetto originario, dato che le due opere sono state concepite come autonome e indipendenti l’una dall’altra).

Il Cristo realizzato da Donatello nella sua perfetta resa anatomica del corpo adulto di un uomo (la prima del Rinascimento) quasi non mostra alcuna traccia della sofferenza patita, qui gli insegnamenti impartitegli da Brunelleschi ormai trent’anni prima sono portati all’esaltazione massima in un torace definito in ogni sua singola parte, evidenziando il rilievo di tutti i muscoli pettorali sino a giungere al piatto ventre.

Dove l’addome si congiunge al dibattuto perizoma (secondo alcuni aggiunto in seguito, ma è decisamente fuori luogo ipotizzare che l’effige di Cristo venga rappresentata senza veli), il ridottissimo indumento è, e resta, un originale idea dell’artista, e non un aggiunta barocca.

A differenziare questo Crocifisso dalle opere precedenti è proprio il suo torace non rigonfio perché questo è il corpo di un uomo morto che ormai ha reso la sua anima a Dio.18Totalmente in contrapposizione con il corpo eroico è il volto, inclinato a destra, e segnato da una visibile sofferenza, enfatizzata negli alti zigomi sporgenti, negli occhi cavi, e nella bocca leggermente aperta, ma che ormai si sta contraendo.

Qui la meticolosità dell’artista si può cogliere nell’assoluto realismo con cui sono stati creati la chioma e la barba, che incorniciano questo struggente volto.

Vasari all’interno delle Vite descrive Donatello con queste parole: Insomma Donato fu tale e tanto mirabile in ogni azione, che e’ si può dire che in pratica, in giudizio et in sapere, sia stato de’ primi a illustrare l’arte della scultura e del buon disegno ne’ moderni; e tanto più merita commendazione, quanto nel tempo suo le antichità non erano scoperte sopra la terra, dalle colonne, i pili e gli archi trionfali in fuora”.19

Deposizione di Cristo dalla croce; Bartolomeo Ferrari su esempio del gesso di Antonio Canova

Deposizione di Cristo dalla croce; Bartolomeo Ferrari su esempio del gesso di Antonio Canova

Quando Donatello giunse a Padova da Firenze, si trovò in un luogo che si potrebbe definire come “provincia artistica” rispetto alla precedente città, ma che è sede di una famosa Università. Ciò fece sì che, dalla fine del XIV secolo, si sviluppasse una stupefacente modernità, atta ad accogliere al meglio le nuove istanze artistiche, umanistiche e culturali provenienti da Firenze.

Grazie a ciò Donatello trovò a Padova il clima giusto per far crescere e conoscere ancor più il suo genio. Le sue idee e innovazioni si protenderanno a lungo nel tempo, basti pensare che la sua Crocifissione di Sant’Antonio vedrà l’epilogo della storia in Canova. Infatti, nel Tempio di Canova a Possagno possiamo rinvenire un gruppo scultoreo in bronzo, realizzato nel 1828 da Bartolomeo Ferrari, tratto dall’omonima Deposizione di Cristo dalla croce in gesso di Canova (conservato nella Gipsoteca a Possagno). Qui, lo stesso Cristo, realizzato secoli prima da Donatello, finalmente scenderà dalla croce, e troverà il compianto di una affranta Maria, che rivolge gli occhi al cielo, e di Maddalena, che cerca di far suo l’ultimo calore del corpo di Cristo ormai morto.

Note:

1) M. BATTISTINI, Simboli e allegorie , Milano, Electa, 2004, p. 144.

2) C. CAVALLI, A. NANTE, L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello, Verona, Scripta Editore, 2013, pp. 24 e 25.

3) C. CAVALLI, A. NANTE, L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello, Verona, Scripta Editore, 2013, pp. 25 e 26.

4) A. PAOLUCCI, Donatello, Vicenza, Rizzoli Skira, 2012, p. 72.

C. AVERY, Donatello catalogo completo, Firenze, Cantini, 1991, p. 24.

Data una lettera scritta da Vasari ai capi dell’Opera di Santa Croce il 29 dicembre 1571 possiamo desumere che a quella data il Crocifisso fosse già collocato all’interno della Cappella Bardi di Vernio.

A. ROSENAUER, Donatello, Milano, Electa, 1993, p.307.

5) A tal proposito si guardi G. VASARI, Le Vite dei più eccellenti scultori, pittori e architetti parte seconda p. 352.

6) A. PARRONCHI, Donatello saggi e studi 1962 – 1997, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1998, da pp. 39 a 50.

7) G. VASARI, Le Vite dei più eccellenti scultori, pittori e architetti parte seconda p. 359.

8) A. PAOLUCCI, Donatello, Vicenza, Rizzoli Skira, 2012, p. 72.

J. POPE – HENNESSY, Donatello scultore, Torino, Umberto Allemandi e C., 1993, p. 196.

L. CAVAZZINI, Donatello, Pioletto (Mi), Gruppo Editoriale L’Espresso, p. 56.

9) L. CAVAZZINI, Donatello, Pioletto (Mi), Gruppo Editoriale L’Espresso, p. 59.

C. AVERY, Donatello catalogo completo, Firenze, Cantini, 1991, p. 24.

10) C. CAVALLI, A. NANTE, L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello, Verona, Scripta Editore, 2013, da pp. 30 a 32.

11) G. ZAMPIERI, La chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova. Archeologia Storia Architettura e Restauri, Rubano (Pd), l’Erma di Bretschneider,2012, p.153.

L’evento miracoloso viene anche documentato in un dipinto di Matteo de’ Pitocchi ubicato nella Cappella adibita al Crocifisso di Donatello.

12) Per quanto riguarda le fonti che attestano la paternità del Crocifisso dei Servi di Maria a Donatello si possono ricordare: un esemplare della prima edizione delle Vite di Vasari conservata presso la Yale University dove un anonimo lettore coevo del biografo toscano riferendosi a Donatello scrisse: “Ha ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi di Padoa”. In più un altro anonimo scrittore d’arte fiorentino denominato l’Anonimo Gaddiano o Magliabecchiano nel secondo quarto del XVI secolo in una nota dei suoi appunti su Donatello scrive di aver saputo da “Lorenzo tornaio”che nella città del Santo rimanevano del maestro non uno, ma “2 Crucifissi”. L’affermazione era riferita sicuramente al Crocifisso sito nella chiesa di S. Antonio e probabilmente anche a quello collocato nella chiesa dei Servi di Maria.

G. ZAMPIERI, La chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova. Archeologia Storia Architettura e Restauri, Rubano (Pd), l’Erma di Bretschneider,2012, p.162.

13) G. ZAMPIERI, La chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova. Archeologia Storia Architettura e Restauri, Rubano (Pd), l’Erma di Bretschneider,2012, p.168.

14) G. ZAMPIERI, La chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova. Archeologia Storia Architettura e Restauri, Rubano (Pd), l’Erma di Bretschneider,2012, p 166 e 168.

15) C. CAVALLI, A. NANTE, L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello, Verona, Scripta Editore, 2013, pp. 28 e 29.

16) R. C. WIRTZ, Donatello 1386 – 1466, Milano,Könemann, 2000, p. 78.

J. POPE – HENNESSY, Donatello scultore, Torino, Umberto Allemandi e C., 1993, p. 195.

17) Infatti stando agli ordini di pagamento risulta che nel 1449 il bronzista Andrea del Caldiere consegnò un “diadema” di rame perché venisse dorato e in seguito istallato su una croce lignea dipinta d’oro e di azzurro da Niccolò Pizzolo su cui poi sarebbe stato ancorato il Cristo realizzato da Donatello.

J. POPE – HENNESSY, Donatello scultore, Torino, Umberto Allemandi e C., 1993, p. 195.

A. ROSENAUER, Donatello, Milano, Electa, 1993, p.307.

18) L. CAVAZZINI, Donatello, Pioletto (Mi), Gruppo Editoriale L’Espresso, p. 164.

A. PARRONCHI, Donatello saggi e studi 1962 – 1997, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1998, p. 42.

19) G. VASARI, Le Vite dei più eccellenti scultori, pittori e architetti parte seconda p. 358.