Taranto: Inaugurata la Pinacoteca di S.Egidio
Marco Marinacci
Non si può che plaudire alla mirabile iniziativa con la quale i Frati Minori del Convento di San Pasquale hanno deciso di dare vita a un nuovo museo, segnatamente il Museo di San Egidio a Taranto, per riconsegnare alla storia un pezzo imperdibile del suo passato, e creare nuova storia, all’insegna della Bellezza.
Si deve plaudire innanzitutto per la visione dei Frati Minori, che ha illuminato opere magistrali di autori dai nomi altisonanti ed evocativi, come Francesco Lanfranco, Luca Giordano, o il Fracanzano; nomi che richiamano frotte di turisti tra le sale del Louvre o dell’Ermitage, ma che nella nostra strana penisola sono obnubilati da una farraginosa macchina museale, spesso rallentata da un’inerzia burocratica, lesiva dei valori dell’arte quanto nefasta nell’immagine di un Paese che riproduce.
Il cambio di rotta di quest’iniziativa è commendevole perché permette di immaginare uno scenario di segno opposto a quello finora tratteggiato dall’inarrestabile fabbrica del profitto a discapito di ogni valore reale, di ogni contenuto trasmissibile – ovvero cultura e bellezza – che non sia consumabile, qui e ora.
Il sogno, immaginato da Giuseppe Siniscalchi, artista milanese famoso per aver lanciato il Movimento fronteversista, e dal collega Domenico Melillo, esponente di rilievo della Urban Art, entrambi impegnati nella battaglia militante dell’arte e della bellezza anche nelle aule di tribunale,
è incarnato dall’immagine di San Francesco orante di fronte ai miasmi prodotti da una spettrale – ma ahimé non immaginaria – città industriale.
Il ritratto del santo sembra a prima vista riprendere la lettura iconografica del Cristo Risorto di Piero della Francesca: grazie alla Resurrezione all’inverno segue la primavera, il nuovo inizio della vita sulla Terra. Ma qui la lettura è ribaltata: nello sfondo all’immagine di un mondo naturale e irrorato dalla luce, si oppone l’immagine desolata di una notte di vapori e fumi, governata dagli spiriti della morte. Visione pessimista? Niente di più lontano. Visione appassionata! Una passione che invita a guardarsi alle spalle, alla storia. La storia di un uomo, diventato santo per le azioni e l’esempio consegnata all’uomo del suo tempo. Un tempo da riconquistare, quello in cui l’uomo sapeva osservare l’esempio di vita dei santi, e comprendere il modello di vita della natura.
Nel dettato a cloisonnisme che sembra frammentare il dipinto murario in innumerevoli pezzi, si nasconde il messaggio delle vetrate delle cattedrali gotiche: il disegno si ricompone e trova forma attraverso la luce, che in quei luoghi di silenzio e concentrazione interiore ne illumina la preghiera.
Così è avvenuto ad Assisi, quando Giotto ha dovuto immaginare una nuova dimensione pittorica, creando con essa l’Umanesimo e gettando i semi del Rinascimento, per dare alla titanica figura di Francesco modo di abitare uno spazio umano. Il cambiamento di segno in una consolidata lettura iconografica – come è quella del santo di Assisi – non è mai da sottovalutare; nasconde sempre una potente revisione iconologica. E quest’opera non fa eccezione… alla serena immagine di fede si sotituisce il monito, la chiamata a una preghiera d’azione, con cui camminare nella notte – il richiamo a Celine non è a caso – per riportare il pianeta a nuova vita, in una palingenesi che ritrova il pensiero di uno dei maggiori filosofi come Heidegger nel suo senso più alto: vivere è abitare la terra.
Non posso che plaudire dunque, da osservatore della storia dell’arte, a un’iniziativa che si pone nel segno della ripresa di tutti i valori storici e dell’ascolto rivolto alla prima istanza della natura umana – la sua identità – riuscendoli a consegnare vivificati alla civiltà contemporanea, superando d’un balzo tutti i muri del silenzio elevati per confinarne l’anima.
La storia insegna che le grandi idee camminano su piccoli gesti, su azioni quotidiane, e la sensibile scelta del murale non può che ricordarci l’opera del muratore, l’immagine dell’uomo che costruisce la sua Chiesa, e la sua fede.
In questa fede di bellezza e nuova vita per l’uomo si muove l’opera di molte istituzioni che oggi a Taranto plaudono insieme alla nascita di questo museo!
L’istituto Caravaggio vede nella commendevole opera dei frati, che dopo oltre due secoli riescono a trasformare una pinacoteca diocesana in un museo di livello nazionale, la capacità invitta dell’uomo di recuperare la propria storia – una storia che qui ripercorre le orme meno conosciute del Merisi, attraverso l’opera di Luca Giordano e Francesco Lanfranco – per trasformarla in messaggio da consegnare alle generazioni future.
La Fondazione Primato, con l’osservatorio che da anni segue l’opera fronteversista, scorge nella capacità di rinnovamento iconografico propria dell’ordine francescano, uno dei terreni più fertili per creare una catena di valore che permette di collegare l’umanata poetica di Giotto alla visionaria ricerca di Giuseppe Siniscalchi, senza soluzione di continuità, in un’ermeneutica che può finalmente leggere, nelle sale di un unico museo, il contemporaneo come il moderno – e qui da notare come il primo illumini il secondo – perché appartenenti alla stessa volontà di bellezza.
Una bellezza che auspichiamo possa illuminare le future politiche culturali e locali, donando finalmente a una città straziata da logiche di profitto e speculazione sul territorio, quanto merita ogni cittadinanza, che però sa di essere tale solo quando acquisisce consapevolezza di far parte di una civiltà.
Questa civiltà, la civiltà che in una città come Taranto si fa “cromosomicamente” industriale, non può permettersi di non cogliere l’opportunità che l’Arte, questa arte, offre all’industria: diventare il nuovo mecenate.
Perché solo grazie al testimone che può consegnarle una Chiesa così illuminata, la civiltà industriale può salire sul palco della Storia e assumere finalmente ruolo da protagonista – obiettivo assolutamente mancato il secolo scorso – nel portare avanti un welfare a misura d’uomo, costituito da tutti i valori consegnatici dalle generazioni passate, e capace di generarne altri e nuovi, che possa rispondere alle vere esigenze della vita sulla terra.
Marco Marinacci
Presidente Fondazione Primato