INFERNO (omaggio a Carmelo Bene)
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Una performance, quella di Michele Piovesan (con la partecipazione di Massimo Barbot, Marco Zanni, e Lorenzo Dante Ferro) che celebra il sapere mediante la citazione della più alta espressione lirica, in cui le terzine dantesche del V canto dell’Inferno mescolano intensità del pathos e dramma del contrappasso.
Citazione ad honorem del Supremo Poeta, quanto di Carmelo Bene, nella quale i versi danteschi vengono potenziati da una retorica acustica e visiva, che coinvolge, più dei cinque sensi, l’intera omeostasi del corpo. Il recitato s’intreccia a suoni, che, angosciosamente reiterandosi, formano ritmi parossistici, mentre inquietanti immagini di palpebre iniettate di sangue vibrano sullo schermo.
Il sapere, come nella grande tragedia classica, vi è dunque esaltato per antitesi, attraverso la denuncia del suo opposto. La violenza. E, la conseguenza di questa, il dolore.
Ne emergono vincenti il vero sentimento dell’amore, la pietà, la poetica. Poiché le creature fragili sono facili prede dei violenti, ma la loro tragica distruzione si trasforma in letteratura, e in tutte le forme d’arte possibili. Ovvero in quelle forme di comunicazione da sempre dotate della massima efficacia. Quando è l’arte che denuncia gli atti di empietà, viene resa eterna la trasmissione dei valori più nobili, su cui si fondano la vera cultura e l’autentica umanità.
Nel dramma dell’umana esistenza non pare esservi posto per il raggiungimento della felicità della completezza dell’amore nella sua naturale e consapevole pienezza, se non per un attimo. Così si tramanda mediante il mito di Eros e Psiche/Thanatos, così la struggente vicenda di Paolo e Francesca, nel V canto dell’Inferno dantesco tristemente ammonisce.
Eppure nell’animo umano, condannato a non rassegnarsi alla propria finitudine, la tensione al raggiungimento di quell’estasi, con la speranza di conoscerla almeno per quell’attimo; almeno conoscerla, a qualsiasi prezzo, e avendo accettato che non possa perdurare, non si placa.
E, inaccettabile, per chi mantiene coscienza di sé, risulta qualsiasi limite venga opposto al libero arbitrio della ricerca dell’adempimento di tale speranza.
Ma se per il mantenimento della massima felicità nell’umana esistenza non sembra esservi luogo, per il perdurare del dolore non vi è dubbio che vi sia abbondante spazio: per esprimere l’insopportabile misura dello sgradito messaggio, quale strategia migliore di quella che rievoca la tragedia del drastico spezzarsi dell’estasi al suo apice? ma perché farlo se fa tanto soffrire?
Perché questa ineffabile drammaticità, che solo la grande arte può far riverberare nell’umano sentire, è sorprendentemente dotata di una sua funzione catartica, col sapore amaro dell’intenso conforto ultimativo della coscienza atavica dell’umana natura-cultura-identità-appartenenza mondana. Più semplicemente: per il fatto di sentire intensamente e profondamente di esserci.
È quanto è accaduto a Milano il 16 novembre presso il Museo della Scienza e della tecnologia, dentro l’anima di un’installazione audiovisiva realizzata da Michele Piovesan (e gestita nella componente visiva da Massimo Barbot), coralmente partecipata da persone che verranno penetrate da immagini, suoni, profumi ai feromoni, immerse in una esperienza simmetrica, in cui la performance multisensoriale non è che la rappresentazione speculare dell’intimo archetipale di chi la vive.
Dieci minuti d’intensità in cui l’occhio umano, interfaccia tra il sé e il mondo, metafora della specularità dell’esistenza, campeggia gigante sullo schermo, s’inietta di sangue, assume le grigie ombre dell’angoscia, e le verdi tinte della speranza, batte la palpebra evocando la sofferenza, e insieme l’istante efimero, che, inesorabile, non lascia scampo per porvi rimedio; mentre la voce profonda di Carmelo Bene si sovrappone, ad altre, intrecciando i versi del V canto, ma lasciando distintamente udire lo struggente messaggio di Francesca, che sintetizza l’inaccettabilità dell’imposizione della fine non determinata dalla natura, bensì dai retaggi delle sovrastrutture culturali umane: “e il modo ancor m’offende”.
(Performance audiovisiva in audio surround 4.1; Installazione in omaggio a Carmelo Bene, con riferimento alla performance-evento della Lectura Danctis dalla Torre degli Asinelli del 31 luglio 1981, per l’anniversario della strage della stazione di Bologna – amplificazione utilizzata da C.B. 40.000 watt con diffusione audio nelle principali strade e piazze di Bologna; oltre 100.000 persone presenti alla performance. In questa sede, al fine di pubblicare un prodotto audiovisivo immune da interferenze ambientali, Piovesan ha preferito utilizzare una versione di prova della proiezione, montata sulla esecuzione audio originale dell’evento del 16 novembre 2013).