Allarme rosso: continua la violenza (anche legalizzata) sul patrimonio artistico internazionale
a cura della redazione
“In una sua lezione il premio Nobel Rita Levi Montalcini – ricorda Francesco Martani nel suo libro “Tra Terra e Cielo” – rileva che l’homo sapiens sapiens deve creare equilibrio tra capitale umano, capitale economico-finanziario, e capitale del sapere, e che tutto ciò si realizza con la piena attuazione dei diritti fondamentali dell’uomo, sanciti nella dichiarazione universale del 1948”.
Il discorso era rivolto ai giovani, con il doveroso ottimismo nei confronti delle nuove generazioni circa le loro potenzialità. Ma la situazione di fatto che attualmente si presenta in molte aree del pianeta è purtroppo molto triste, per non dire sconfortante, e, per essere mutata, richiederebbe interventi urgenti quanto radicali.
Siti archeologici sistematicamente saccheggiati, o violati ai fini di un indiscriminato sfruttamento economico delle aree sulle quali si trovano; indifferenza di fronte alle distruzioni continuamente provocate da guerre, cataclismi naturali, al degrado dovuto al turismo di massa, ai vandalismi, all’ignoranza in genere, alla costante e ubiquitaria riduzione dei finanziamenti per la tutela del patrimonio artistico. Questa è la gravissima situazione in cui versa il patrimonio artistico e archeologico internazionale.
È quanto emerge da molte relazioni presentate alla giornata di studio “Beni culturali in pericolo – Le patrimoine en danger”, organizzata dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, e tenutasi a Venezia lo scorso 16 maggio, presso lo splendido Palazzo Franchetti, per rimarcare il costante aggravarsi di un allarme attivo da decenni.
L’importante convegno si è aperto con la relazione di Daniel Rondeau, ambasciatore dell’Università delle Nazioni Unite presso l’Unesco.
E se Rondeau ha esordito, con pregnanza intellettuale di alta caratura, veicolata dallo stile poetico di elegante scrittore qual è, sottolineando quanto i monumenti dell’antichità siano in grado di veicolare attraverso il tempo e lo spazio (talora perfino dopo la loro completa rovina – come nel caso del Faro di Alessandria), la valenza spirituale delle civiltà che li ha prodotti; Giorgio Brunetti (Università Bocconi di Milano) ha concretamente rilevato che nei paesi in cui vi è maggior attenzione nei confronti del patrimonio artistico, ed è favorito l’accesso alla cultura, si registra perfino una minore ospedalizzazione dei pazienti affetti da patologie croniche.
A Brunetti ha fatto eco Caecilia Pieri, Responsabile dell’Osservatorio urbano dell’Istituto francese per il Medio Oriente, che ha riportato evidenze secondo le quali i paesi in cui la cultura umanistica non è considerata di secondo livello rispetto a quella tecnologica, ma viene anzi correttamente valorizzata, sono (contrariamente a quanto alcuni si potrebbero forse attendere), anche i paesi in cui l’economia è più florida, pur in tempo di crisi: “se la cultura umanistica è stimata e autorevole, e il patrimonio architetturale e artistico è rispettato e adeguatamente valorizzato, tanto da incrementare continuamente la cultura e la creatività nazionale, non vi è da meravigliarsi, se, come conseguenza, si ha un maggior sviluppo economico e benessere collettivo”.
“A Beirut dove vivo – ha rilevato la Pieri – il potere economico, favorito dalla legislazione locale, sta invece sostituendo gli antichi palazzi del centro storico, dove brulicava la vita della capitale, con centri commerciali e grattacieli di vetro, costruiti anche su una vasta area archeologica. E ciò puramente a fini di investimento, poiché a causa dell’attuale congiuntura locale tali immensi edifici restano vuoti”.
Ma la Pieri ha chiaramente espresso anche una propria tesi ancor più preoccupante: “a Baghdad, un tempo splendida città-giardino, è anche peggio. Non essendo la classe media, bensì masse di schiavi a consentire la fortuna della locale oligarchia, il cui fine è quello di aumentare il proprio patrimonio privato, in Iraq, che da trent’anni versa in una situazione di degrado dovuta alle continue guerre, sembra esservi un preciso programma politico per mantenere alti livelli di instabilità interna, e bloccare così la ripresa economica, naturalmente con conseguente totale assenza di tutela per il patrimonio archeologico e artistico iracheno, che viene anzi sistematicamente saccheggiato”.
Ma, anche restando in Italia, le cose non sembrano che vadano certo alla grande. Basti leggere il titolo della relazione di Tomaso Montanari (Università Federico II di Napoli): “Costituzione tradita: la rovina materiale e morale del patrimonio culturale nell’Italia contemporanea”.
Qualche politico italiano si sta forse accorgendo che l’immenso patrimonio artistico nazionale può rappresentare un’opportunità per contrastare la crisi, ma alcune delle prime proposte giunte in tal senso, rivelano la mancanza degli strumenti culturali minimi che renderebbero idonei i loro autori a occuparsi del problema. Ne consegue, quindi, il rischio che vengano attuati provvedimenti affrettati, e in grado di generare danni gravi e irreversibili, più che utili a ricreare cultura e sviluppo.
“Nonostante che nella nostra Costituzione l’articolo 9 reciti: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, articolo fondamentale – ha osservato Tommaso Montanari – pienamente in accordo e collegato all’articolo 1, nella parte in cui questo afferma La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (per cui si evince che il patrimonio artistico nazionale appartiene al popolo), in Italia si attuano poco sopportabili provvedimenti che affidano quasi completamente l’utilizzo del patrimonio pubblico a privati. Ciò è avvenuto nel caso del Museo Egizio di Torino, dove da quel momento si è interrotta la pubblicazione di studi (di cui prima lo stesso museo era prolifico sulle riviste internazionali) non essendovi più attività culturale e di ricerca”.
Ma non basta, la smania di attirare pubblico, col pretesto di modernizzare per rendere più fruibile e divulgare, sta generando il rischio di contestualizzare le opere d’arte in allestimenti decisi da ingegneri e architetti totalmente digiuni di cultura storico-artistica, quanto delle indispensabili conoscenze di fisiologia e psicologia della percezione indispensabili a valorizzare le opere rispettandone il codice semantico.
L’opera d’arte viene da questi “progettisti” ridotta a oggetto di supporto a banali informazioni nozionistiche, che restano appiccicate per qualche istante alla memoria del visitatore, colpito nel percorso museale dalle mirabilia, quasi in un processo di regressione mentale, che lo assimila all’uomo di fine ottocento incantato dalle formidabili novità tecnologiche della sua epoca.
Regressione lobotomizzante che allontana quindi dalla cultura e dalla modernità: l’opera d’arte, massima concretizzazione del pensiero creativo d’alta cultura, oltraggiata e svuotata del suo significato profondo e fecondo, viene così proposta a una pletora di visitatori acritici, che escono dalle sale dei musei non più arricchiti che da quei cinema, nei quali è proiettato in 3D su schermo gigante il florilegio delle scempiaggini.
Tramite il presente brevissimo e assai incompleto abstract del convegno, sono stati volutamente forniti solo alcuni cenni dei contenuti del medesimo, al fine di non sminuire l’efficacia e la valenza scientifica delle relazioni, che vale assolutamente la pena invece di visionare per intero.
Tutti gli interventi, dibattito incluso, sono stati infatti videoregistrati, e sono liberamente e interamente fruibili collegandosi al sito dell’”Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti”, più precisamente al link:
http://www.istitutoveneto.it/flex/FixedPages/Common/video_tutelapatrimonio.php/L/IT
(si veda anche):
http://www.unesco.it/cni/index.php/cultura/patrimonio-mondiale