Palazzo Loredan: inusitato tesoro veneziano
Giulia Volpato
Venezia è una di quelle città famose in tutto il mondo per la presenza di una grande varietà di luoghi storici e per la ricchezza del patrimonio artistico. In questo labirinto di tesori della storia dell’arte risulta quindi facile perdersi e rischiare di trascurare qualche perla che ha l’unico difetto di essere meno conosciuta di altre, ma non per questo risulta essere meno interessante. Fortunatamente alcune iniziative possono aiutare in questo senso, portando alla scoperta, o per meglio dire alla riscoperta, di capolavori dimenticati dai visitatori meno attenti. Tra queste si colloca la serie di visite guidate gratuite a Palazzo Loredan dell’Ambasciatore, una delle sedi dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, che continueranno fino al 7 Maggio 2015 e che permettono di ammirare l’interno di questo edificio, che si trova in Campo Santo Stefano ma che spesso non viene nemmeno notato, a causa della facciata modesta.
Il palazzo, che risale alla seconda metà del Quattrocento, originariamente era una fabbrica di proprietà dell’importante famiglia veneziana dei Mocenigo ed era in stile gotico. Nel 1536 fu acquistato dai figli di Girolamo Loredan, secondogenito del celebre doge Leonardo, che permutarono una loro casa a San Canciano con le proprietà di Domenico Mocenigo, con lo scopo di ristrutturare l’edificio per ricavarne il palazzo di famiglia. Una delle caratteristiche che li colpì di più fu l’insularità del palazzo, che riduceva le occasioni di controversie tra confinanti, consentiva un’autonomia funzionale e garantiva una posizione dominante. La ristrutturazione fu assegnata a un architetto piuttosto moderno per l’epoca, Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino, il quale cercò di inglobare le parti preesistenti del palazzo nella nuova struttura e ne rivoluzionò l’asse.
Verso la fine del Cinquecento i Loredan decisero inoltre di aggiungere una nuova facciata, opera dell’architetto Giovanni Girolamo Grapiglia, e di affrescare tutto l’esterno del palazzo: lo scrittore Francesco Sansovino descrisse Campo Santo Stefano come una quinta teatrale, facendo riferimento al fatto che tutti i palazzi erano affrescati. La decorazione di Palazzo Loredan fu affidata a Giuseppe Porta, detto il Salviati, che dipinse scene di mitologia romana, una scelta dovuta al fatto che i Loredan, come tutte le famiglie patrizie veneziane, facevano risalire la propria storia ad un antenato nobile a Roma: nel loro caso, il prescelto era Muzio Scevola, che rappresentava gli ideali della patria e della lealtà. Oggi purtroppo non rimangono testimonianze dirette di questi affreschi, ma a Oxford, e a Edimburgo sono conservati i disegni originali. Sulla facciata campeggia ancora, invece, una scritta in tedesco risalente ad un periodo successivo rispetto agli affreschi: “Imperial-Regio comando della Città e Fortezza”, in riferimento alla funzione di sede del tribunale militare austriaco che il palazzo ricoprì durante il dominio straniero della laguna, tra il 1797 e il 1814. I Loredan infatti tennero il palazzo fino al 1802: l’ultima erede, Caterina, sposò un Mocenigo e per dissesti finanziari vendette la residenza di famiglia ad un immobiliarista, Giacomo Berti, il quale cedette il palazzo al governo austriaco.
Oltrepassando il portale nobile e severo per addentrarsi all’interno dell’edificio, si accede all’atrio del piano terra, dove è conservata una collezione di busti marmorei del Rinascimento, che rappresentano i personaggi che hanno dato lustro alla storia della Serenissima, e che sono stati raccolti tra il il 1847 e il 1932.
Il personaggio più antico è Tito Livio, di origini padovane, mentre quello più recente è Angelo Minich, primario dell’ospedale civile di Venezia nonché importante socio dell’Istituto: il suo busto infatti non appartiene alla collezione rinascimentale e se ne distingue per le dimensioni maggiori. Altri elementi significativi dell’atrio sono il singolare pozzo in marmo rosso di Verona e la scala monumentale che porta al piano superiore.
Il pittore Giovanni Carlo Bevilacqua fa riferimento, nelle sue memorie, a due affreschi realizzati a Palazzo Loredan nel 1809, durante il breve periodo francese, raffiguranti allegorie napoleoniche, specificando che furono poi distrutti dagli austriaci che avevano riconquistato Venezia.
In realtà si è scoperto che, mentre uno dei due affreschi molto probabilmente è andato realmente perduto, l’altro fu semplicemente coperto d’intonaco: l’opera è tornata alla luce durante gli ultimi lavori di ristrutturazione e oggi è ben visibile nel corridoio del primo piano. Bevilacqua, che non aveva mai incontrato di persona Napoleone, lo dipinse per luoghi comuni, rappresentandolo mentre tornava da una battaglia e veniva incoronato dalle personificazioni dell’Italia e della Francia, tra la Vittoria, la Gloria e la Pace, circondato da una folla di festanti.
Rispetto al disegno si può notare una modifica significativa: il personaggio che regge le briglie del cavallo di Napoleone non è Marte, il dio della guerra, come Bevilacqua aveva inizialmente progettato, bensì il generale e primo governatore francese della Serenissima, Louis Baraguay d’Illiers, che si era insediato a Palazzo Loredan dopo l’arrivo delle truppe napoleoniche nel 1806 e che aveva quindi commissionato gli affreschi a Bevilacqua.
Nel Palazzo è conservato l’atto fondativo dell’Istituto: si tratta di un ente privato con fini pubblici, che fu originariamente fondato da Napoleone nel 1810 come un’accademia, su modello di quella francese, con il nome di Reale Istituto Nazionale. Nel 1838 Ferdinando I d’Austria lo rifondò con l’attuale denominazione e nel 1888 l’edificio fu destinato su concessione perpetua dello Stato a diventare sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, che vi si trasferì definitivamente nel 1891.
L’Istituto è composto da 280 soci nominati per decreto ministeriale, tra i quali vengono scelte cinque figure con funzioni particolari: un presidente, un vicepresidente, un amministratore e due rappresentanti delle classi (Scienze fisiche, Lettere ed Arti). Le riunioni mensili dei soci a Palazzo Loredan si tenevano nella sala dell’adunanza, che originariamente era la sala di rappresentanza della famiglia Loredan. Il salone si presenta con decorazione à lambris, ovvero pannelli lignei con motivi ornamentali dorati su fondo nero, di gusto Luigi XVI. Inoltre un grande portale a colonne libere, opera del Grapiglia, con una testa di Mercurio in chiave d’arco, realizzata da Girolamo Campagna, ripartisce in modo equilibrato la parete.
Prima che i Loredan cedessero il palazzo all’inizio dell’Ottocento, la famiglia attraversò un periodo di ritorno alla gloria con l’elezione a doge di Francesco, nel 1752: in tale occasione il palazzo venne nuovamente ristrutturato, con l’aggiunta di elementi settecenteschi ancora ben visibili, per esempio le porte e i caminetti. In particolare, Giuseppe Angeli realizzò sul soffitto di una sala al piano nobile un affresco allegorico destinato a commemorare l’elezione a doge. Il soggetto è l’Aurora che lascia la notte per salire sul carro di Apollo, così come la famiglia Loredan avrebbe lasciato i tempi bui per raggiungere una nuova gloria.
Alla struttura ornamentale del soffitto fa eco la decorazione a stucco, opera del ticinese Giuseppe Ferrari. Allo stesso Ferrari spetta anche la decorazione del boudoir, un olio a muro sul soffitto che rappresenta la nascita di Venere.
Sul soffitto di un’altra stanza del piano ammezzato invece si trovano quattro tele che rappresentano episodi dell’Antico Testamento, opera di Palma il Giovane e di Antonio Vassilacchi. Si suppone che queste tele in realtà si trovassero inizialmente in altri spazi, ma che siano state ricollocate qui proprio in occasione del restauro settecentesco.
Da quando il Palazzo è diventato sede dell’Istituto Veneto sono stati effettuati altri due restauri e il guadagno in termini artistici è stato considerevole. Nell’edificio sono conservati anche due calchi in gesso che appartengono alla collezione delle opere raccolte a Creta dall’archeologo Giuseppe Gerola, testimonianze del dominio veneziano sull’isola. Sono inoltre da segnalare il ritratto di Pompeo Gherardo Molmenti, presidente dell’Istituo, opera del Corcos, e il quadro di Tintoretto, che si trova nella Sala delle Adunanze e rappresenta la Madonna con Bambino, al quale rendono omaggio quattro senatori: in chiave politica, il dipinto può essere letto come la raffigurazione di Venezia, la città vergine, a cui la classe senatoriale rende omaggio.
Il lascito più ingente e importante è costituito dalla biblioteca, che nacque dalla donazione di Raffaele e Angelo Minich. Oggi essa si snoda per sette stanze del piano nobile, raccogliendo circa 320.000 volumi e si arricchisce continuamente soprattutto attraverso scambi.