Il ‘400 e la nascita dello sguardo moderno sull’ambiente
di Marco Marinacci
Se, la radice più profonda dell’arte occidentale va rintracciata in quell’alveo culturale e immaginativo inscindibilmente collegato alla tragedia greca, sia per via diretta, sia per affiliazione indiretta (basti pensare alla storia cristiana, da cui deriva la possenza del patrimonio iconografico moderno), è nell’identificazione di quei “momenti” discreti e definiti del tempo, che la Storia dell’uomo occidentale ha deciso di chiamare “secoli”, che possiamo distintamente veder apparire il nunc, l’unità di tempo dell’azione.¹
L’hic, l’unità di luogo, rappresenta invece la “scena” fisica, dove prende corpo l’azione. In linea di continuità critica dunque, se in N.1 – 2013 [I] abbiamo individuato il ‘400, quale primo secolo – la prima stanza, direbbe Poliziano – in cui possiamo vedere tracciato il corso compiuto dell’arte moderna, il luogo deputato alla nostra “azione” storica, il suo contesto ambientale, o, per così dire, la sua “scena tragica”, è per elezione Firenze.
E Firenze vuol quindi dire in primis, così come il XV secolo, disegno e prospettiva.²
Questa devozione della città toscana alla linea, alla gabbia prospettica, e alla “forma simbolica”³, che si nasconde dietro all’idea capitale della volontà rappresentativa occidentale, si rintraccia già in quell’emblematico resoconto, che diventerà leggenda, della nascita della prospettiva, sulla scorta delle ricerche di Filippo Brunelleschi.
Quando l’architetto-ingegnere, riporta la cronaca, guardò dentro lo specchio – una specie di “camera ottica” ante litteram – per la riproduzione della tavoletta rappresentante il Battistero di San Giovanni, in quello stesso momento il mondo vede la nascita della prospettiva centrale, ovvero di quella capacità di astrazione in termini empirici, che guiderà tutta la volontà di dominio del mondo dell’uomo moderno occidentale, che più tardi andrà sotto il nome di scienza.
Ma il fatto per noi ancora più significativo è che la leggenda ritiene tale idea tanto emblematica del nuovo corso della civiltà, da registrarne con attenta precisione la data di nascita: il 1401.
Come a dire, l’annus domini che battezza la modernità, e il secolo che le darà i natali.⁴
Ma l’idea della prospettiva, come si è visto (è sufficiente riprendere i diversi editoriali e saggi precedenti, in cui essa ricorre regolarmente) non si arresta al Quattrocento, quando calca la sua “scena madre”, ma andrà ben oltre.⁵
Depositaria della sua espressione in termini visibili, è la modernità tutta, tanto che ancora nel tardo ‘700, ormai agli albori di una nuova epoca che aprirà all’universo del contemporaneo, si potrà rintracciare ancora in Bernardo Bellotto l’ultimo estremo sviluppo dell’idea brunelleschiana. Uno sviluppo che trasferirà quell’idea tanto semplice e astratta, simboleggiante la presa di possesso del mondo da parte dell’homo novus rinascimentale, in una dinamica di ripresa ambientale sempre più diretta, attraverso un metodo ormai tanto articolato e raffinato, da far entrare a pieno titolo Bellotto nel novero dei padri della fotografia di paesaggio contemporanea. Come a dire, di tutta quella idea cinematografica devota al contesto ambientale, ovvero alla rappresentazione realista.
Il metodo affinato da Bellotto segue una dinamica complessa, sia per quanto riguarda i paradigmi teorici, sia per quanto è pertinente al suo sviluppo pratico, che non consente di presentarne in questa sede la silloge, e merita una trattazione a parte, ma sia sufficiente, per ora, evidenziare i due meccanismi basilari di riconoscimento ambientale, che egli adotterà, nel rapportarsi con il capoluogo toscano, durante il suo viaggio del 1742: la centralizzazione e la direzione. Se il primo du tali meccanismi parte dal concetto di orientare tutte le linee che possono derivare da più punti (stazioni) di ripresa su un unico soggetto focale, il secondo segue invece lo sviluppo lineare del soggetto, con punti focali che si susseguono, e può essere descritta con quell’astrazione rappresentativa, che viene volgarmente semplificata nella formula delle due rette parallele che s’incontrano all’infinito.
Niente di più vicino dunque ai due meccanismi rappresentativi individuati dallo stesso Brunelleschi, oltre tre secoli prima. La centralizzazione ricorre nella rappresentazione dei due soggetti delle tavolette: il battistero di San Martino, con la sua pianta centrale a sezione ottagonale, e la Piazza della Signoria, che Bellotto sente come soggetto principe della sua ricognizione ambientale. Ed è, come dire, il meccanismo di ripresa ambientale ab ovo. La direzione informerà invece tutte le successive visioni progettuali dell’architetto rinascimentale, a partire dalla celeberrima precisata e pausata composizione spaziale di San Lorenzo.⁶
Bernardo, concentrando l’attenzione su Piazza della Signoria, il nuovo soggetto che la città medicea gli offre, corrobora e porta a compimento il meccanismo della centralizzazione: vale a dire quella dinamica percettiva e ricognitiva acquisita nei contesti ambientali urbani precedentemente osservati e rappresentati, quali i campi veneziani, risalenti ancora alla sua prima formazione sotto la guida dello zio Antonio Canal, o al più recente tra questi, il perno visivo di San Martino a Lucca. Intorno a quest’ultimo il meccanismo della centralizzazione si fa già teso, e indica una grammatica lessicale estremamente rigorosa, riportante a un unico telaio prospettico l’intera dimensione vedutistica, quasi il panorama (o cosmorama) intorno fosse assorbito e attirato al suo centro come da un magnete, che riesce a stringere e far convergere ogni linea appartenente alla gabbia prospettica dell’orizzonte. Si crea, in questa veduta, un invaso spaziale che si accorda ancora perfettamente all’ego purovisibilista dell’uomo occidentale, ricreando una piazza che sembra essere, oggi come allora, al centro del mondo. Un mondo sul quale domina, come un ombrello, la cupola di Santa Maria del Fiore, tanto “ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani” (così recitava Leon Battista Alberti nel De Pictura), ma le cui bacchette sono tanto tirate dalla prospettiva di Bellotto, che basterà un soffio (e quello dell’800 sarà un vortice) a rovesciarle e incrinare per sempre questa struttura perfetta.
Il secondo soggetto sul quale il veneziano porterà la sua attenzione è forse ancora più significativo, prima di tutto perché al meccanismo della direzione si aggiunge un secondo elemento di riconoscimento ambientale, ancillare e subordinato al primo, che possiamo definire come “soggetto focale”.
Se infatti Bellotto identifica questo secondo soggetto nell’Arno, come aveva in precedenza fatto, ritraendo il corso del Canal Grande, e vi adatta la medesima dinamica di ripresa ambientale, che aveva adottato e portato a esiti già estremamente personali nella Laguna, è nella scelta e acquisizione di un determinato soggetto focale che si ha il grande salto: il ponte.
E’ un passo risolutivo e rivoluzionario, in quanto importa nella grammatica del linguaggio paratattico della prospettiva, costituita da elementi denotativi, di cui la Veduta è figlia (stiamo parlando in termini semiotici, per cui ogni elemento rispondente all’idea originaria prospettica è di pari ordine e grado) un elemento connotativo, il ponte appunto, che vanta un suo proprio valore semantico e significato espressivo (basti pensare alla ricerca su questo soggetto presentata da Heidegger nei termini qui esposti, per comprendere a quale livello di complessità semantica ci stiamo trasferendo).
Ma il grande salto che qui l’esperienza ormai consolidata sul soggetto fluviale permette a Bellotto, gli farà individuare l’elemento del ponte, quale soggetto focale dell’intera veduta. S’intenda: il ponte non è un nuovo soggetto per i vedutisti, ma in Bellotto acquisisce quel ruolo di protagonista nel riconoscere una precisa e individuata identità ambientale che lo porta a diventare, in senso lato, l’elemento principe connotante il genius loci del fiume. Non ci si deve fermare a un’unica veduta, per comprendere il nuovo ruolo che gioca questo elemento e fulcro visivo, ma congiungendo le diverse vedute fluviali ci accorgiamo che esso le incardina in successione perfetta, come tessere di un mosaico, permettendoci di seguire passo passo il percorso che Bellotto affronta nella sua personale ricognizione della città.⁷
Ci troviamo così a comporre una “macro-veduta” che ci offre l’immagine di tutta una città attraverso il suo specchio magico, che è il fiume su cui si affaccia. E scopriamo in questo modo che Bellotto, attraverso le sue vedute, non solo ci riporta il genius loci di un’intera città, ma ne ritrae “l’anima e il volto”.
E’ forse di fronte alla capacità di queste vedute di immortalare lo spirito della città, che anche la cecità della macchina bellica nazista si è dovuta arrendere. Così arrivava l’ordine di arrestarsi davanti alle auguste vestigia del Ponte Vecchio. Certo è invece che, mentre le due sponde dell’Arno venivano fatte esplodere, e altre città erano devastate sotto i bombardamenti (Dresda e Varsavia), la storia ha potuto vedere i loro centri storici rinascere, proprio grazie alle vedute di Bellotto, che hanno saputo coglierne l’anima e trasferirne il respiro nei secoli.
Note:
1) Un’unità di tempo che appartiene alla vocazione narrativa – ovvero all’azione – dell’immagine occidentale. Con “hic et nunc” si intende infatti qui riferirsi alla formula latina che individua il principio basilare su cui si fonda l’idea tragica classica: quell’unità di luogo e tempo che permette all’azione di avere compimento. L’azione è naturalmente in questo contesto intesa in senso metaforico, come il pieno compimento di sviluppo espressivo dell’immagine occidentale, la quale ha sempre, sia quando lo esprime dichiaratamente, sia quando lo nega, un inequivocabile segno narrativo. Il senso autentico dell’immagine – il suo valore autonomo e il significato integrale – trova dunque compimento, e può altresì essere interpretato, solo all’interno del suo contesto temporale e ambientale.
2) Il soggetto tematico del secondo ciclo di Tempo e Arte (ogni ciclo tematico di aggiornamento è circa biennale, ed è segmentato sui diversi periodi di rilevanza storico-artistica – a partire dal ‘400 – indicati dai numeri romani tra parentesi quadre; tali periodi sono tutti rappresentati ogni biennio da una o più uscite), “i luoghi dell’arte”, segue quello del primo, che affrontava una lettura storica dell’arte in chiave cronologica, attraverso i suoi momenti identitari rappresentati dai “secoli”. I luoghi dell’arte si vengono in questo modo a sovrapporre al soggetto tematico dell’arte attraverso i secoli, creando una ideale stratigrafia critica, una cornice di contestualizzazione storico-artistica, all’interno della quale cercheremo di approfondire la lettura dell’immagine che l’uomo moderno occidentale ha offerto attraverso la sua arte.
3) Si veda per una trattazione illuminante del tema Erwin Panofwsky, La prospettiva “come forma simbolica”, Feltrinelli, Milano, 1961-2001.
4) La scoperta della prospettiva è tradizionalmente attribuita a Filippo Brunelleschi. Antonio Manetti e Giorgio Vasari ricordano che l’ingegnere fiorentino eseguì le prime opere prospettiche: due tavolette raffiguranti rispettivamente il Battistero di San Giovanni e Piazza della Signoria. Sia Manetti che Vasari concordano nel riferire questa scoperta a Brunelleschi, e nel collocarla agli inizi del Quattrocento, anche se in momenti diversi della vita dell’ingegnere. Purtroppo le due tavolette non ci sono pervenute, e le uniche testimonianze in proposito consistono in queste fonti letterarie alquanto tarde. Sebbene siano molto dettagliati, i due resoconti richiedono un attento vaglio critico, perché sono posteriori di molti anni alla morte di Brunelleschi, avvenuta nel 1446. È tuttavia plausibile che la scoperta della prospettiva risalga a un periodo compreso fra le prime ricerche spaziali di Giotto e il De pictura, composto da Leon Battista Alberti nel 1435. Non è pertanto da escludere che Filippo Brunelleschi ne sia stato l’inventore.
5) Per una breve disamina del corso della prospettiva in termini storici, si veda di Alessandra Sorci, L’ottica. Guardando in prospettiva, all’interno della collana “Medioevo: un passato da riscoprire”, Vol. 5, Nº 11, 2001 , pp. 36-40.
6) Meccanismi individuati sulla scorta del modello interpretativo del processo ricognitivo di riconoscimento ambientale adottato da Christian Norberg-Schulz. Si veda per una spiegazione dettagliata degli stessi, di C. Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura, Documenti di architettura, Milano, Electa, 1992. Per una disamina più puntuale degli stessi, in relazione alla dinamica percettiva e di ripresa ambientale all’interno dell’opera vedutistica di Bellotto, si faccia riferimento al capitolo II.1, “Il disvelamento del genius loci nelle vedute del Bellotto, sulla base del modello interpretativo di Norberg-Schulz”, da Bernardo Bellotto: interprete del genius loci, tesi di laurea, Politecnico, Milano, 2006.
7) Non dobbiamo dimenticare che il fiume è di per se elemento di ricognizione ambientale privilegiato per eccellenza, in quanto non solo permette di entrare in contatto con tutti quei valori luministici che il dialogo con l’acqua comporta, ma s’insinua nel tessuto urbano scavalcando ogni barriera antropica e riconducendo il carattere ambientale al suo alveo naturale.