Finalità e metodo

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La linea critica che guida la mia ricerca di storico dell’arte si pone da tempo all’interno di un orizzonte filosofico ermeneutico che contempla l’opera d’arte come elemento centrale per fondare un percorso di valori e di conoscenza che intende rispondere alle istanze del sapere contemporaneo.

L’ermeneutica filosofica contemporanea diventa momento di riflessione cruciale per il problema positivistico della distinzione tra “scienze della natura” e “scienze umane” (o scienze della cultura).

Bombardamento di Dresda

L’ermeneutica fornisce gli strumenti concettuali attraverso cui le scienze umane definiscono la propria legittimità scientifica in quanto, con Wilhelm Dilthey, viene riconosciuto il valore di una teoria filosofica dell’interpretazione, e la funzione di fondamento epistemologico della conoscenza storica.

La distinzione tra scienze naturali e scienze umane riguarda non solo l’oggetto, rispettivamente naturale e storico, ma, e soprattutto, il metodo della conoscenza: se quelle naturali si fondano su una prassi ipotetico-deduttiva, le scienze umane cercano la comprensione dell’individualità storica nel suo significato determinato e specifico. La demarcazione tra oggetto naturale e storico si basa quindi su di una preliminare distinzione nell’approccio gnoseologico, esplicativo nel primo caso, interpretativo nel secondo.

L’opera d’arte è oggetto esemplare, da questo punto di vista, in quanto accorpa in sé le due nature: all’interno della stessa interpretazione storico-artistica, si può dire che presenti primariamente la sua identità di oggetto naturale, quando indagato secondo canoni prettamente iconografici, in cui i meccanismi percettivi studiati dalle scienze della natura hanno ampia rilevanza, mentre assume l’identità di oggetto preminentemente storico quando entra in campo l’interpretazione iconologica.

Va ricordato però che gli oggetti storici che il soggetto interprete incontra, seleziona, riconosce, e il modo con cui egli si pone in relazione con essi, nasce dalla sua stessa appartenenza all’orizzonte originario della storicità. Si rivela allora la circolarità del processo interpretativo, per il quale l’oggetto non è, come per le scienze naturali, un “dato” immediatamente evidente all’interprete, ma è costituito nella particolare prospettiva che gli conferisce significato e rilevanza per lo storico. Con Martin Heidegger questa prospettiva diventa quella linguistica temporale, che inaugura l’orizzonte epistemico che coinvolgerà, oltre alla fenomenologia, il segno e la struttura (semantica e strutturalismo), e sarà raccolto dall’ermeneutica gadameriana. L’interprete si pone all’interno di questo orizzonte, un sistema simbolico (un progetto) che circoscrive i limiti di qualunque possibilità conoscitiva; possibilità che diventano manifeste nel linguaggio. Questo manifestarsi è ciò che Heidegger definisce “comprensione”, presupposto di qualunque processo interpretativo. In quanto articolazione di ciò che è preliminarmente compreso, l’interpretazione forma un circolo, che Heidegger chiamerà “circolo ermeneutico”. Un circolo che rivela la struttura propria di ogni processo conoscitivo, che non aspira a una verità definitiva, ma alla validità del percorso critico-interpretativo.

Il linguaggio “accade, è evento”, spiega Hans-Georg Gadamer, e in questo senso fa cadere i presupposti positivistici e riduzionisti, per aprire la riflessione al rapporto tra forme del sapere e forme della vita storico-sociale. Gadamer recupera la vocazione all’universalità del discorso filosofico, per individuare nella riflessione ermeneutica il luogo di una coscienza extrascientifica della verità. L’ermeneutica filosofica si rivela così esperienza fondante l’universalità del discorso filosofico. Presupposto è la critica dell’identificazione positivistica della verità con la nozione di metodo mutuata dalle scienze fisico-naturali (Verità e metodo), ma è nell’esperienza dell’arte e della storia che le esperienze “extrametodiche” della verità possono recuperare e fondare il loro potere conoscitivo.

Negli studi sul’opera d’arte Heidegger aveva operato una radicale revisione dei concetti portanti della coscienza estetica moderna, rivendicando il carattere conoscitivo, e non puramente estetico-soggettivo, dell’opera d’arte.

Il linguaggio artistico, in quanto organizzazione simbolica che produce e “fonda un mondo”, riportando in luce una riserva di significati nascosti o dimenticati, ha valore di verità. Riprendendo la tesi heideggeriana, Gadamer rivela come l’esperienza artistica non sia riconducibile né alla soggettività dell’artista né a quella del fruitore. Ciò che nell’opera d’arte è in gioco è il rapporto di entrambi con l’evento artistico, con le regole del linguaggio che artista e interprete fanno proprie. L’esperienza artistica ha valore di verità in quanto modifica chi ne partecipa.

Questa la cornice teorica da cui parte la proposta interpretativa che verrà presentata attraverso le pagine di TEMPOEARTE. Uno strumento critico, dunque, che si offre sotto forma di rivista, per consentire di seguire costantemente l’evoluzione del linguaggio artistico contemporaneo. La comprensione storica, insegna Gadamer, è infatti un processo ininterrotto di revisione costante della tradizione stessa, e costruisce storia. La coscienza della “determinazione storica”, cioè la consapevolezza che il dato storico è un campo di effetti la cui trasmissione è affidata al linguaggio, trasforma il compito storiografico in “fusione ermeneutica di orizzonti” tra presente e passato. Il canone interpretativo storicistico della contemporaneità cade e si deve proporre un nuovo modello, quello del “dialogo”: solo nella comunicazione, non nel linguaggio referenziale dell’asserzione, si manifesta il mondo. Ogni orizzonte linguistico rimanda dunque a un’esperienza linguistica del mondo, a un’organizzazione simbolica. Ogni orizzonte linguistico, oltre a definire i “codici fondamentali” di una comunità e di una cultura, ha in sé la possibilità di trascendere se stesso, riflettere su di sé e comprendere gli altri.

Questo primo anno di pubblicazione intende porre le basi per la costituzione di questo orizzonte grazie a un percorso critico di definizione dei “codici fondamentali”, a partire da un’analisi dell’arte lungo i secoli, che attraversa la modernità e giunge al contemporaneo, per raccogliere la portata della visione cosiddetta “antropologica” nella storia dell’arte (se confrontata con quella “teologica” della stagione storica medievale, o con quella “cosmologica” della stagione classica). Una portata che trova piena espressione nella linea interpretativa della storia dell’arte inaugurata da Flavio Caroli attraverso la fisiognomica, strumento epistemico che trova una corrispondenza tangibile anche nel pensiero  filosofico contemporaneo, basti pensare al  ruolo che il volto assume nella riflessione critica di Emmanuel Lévinas.

Dobbiamo però fare a questo punto aprire una breve parentesi: il tempo dell’arte si misura per generazioni, non per anni, anche se ci sono stagioni, epoche e momenti che si ripresentano, fortemente connotati da dinamiche affini: pensiamo ad esempio ai primi anni di ciascun secolo della modernità, dal ‘400 in avanti, e scorgiamo segnali avanguardistici che guideranno, o quanto meno tracceranno, le linee di ricerca attraverso tutto il secolo a venire.

Per cogliere tali segnali, dobbiamo fornirci di strumenti critici, e questi intendono essere gli editoriali, i seminari, i saggi e le pubblicazioni che andranno a costituire il terreno di questa sezione scientifica, ciascuno con una sua propria identità e declinazione interpretativa. All’editoriale sarà riservato il ruolo di creare una traccia, un tema guida cui si riporterà la lettura critica dell’intero palinsesto di ciascun numero della rivista.

I seminari propongono invece una particolare ermeneutica dell’opera d’arte attraverso un doppio indirizzo interpretativo: ad una prima presentazione storica, seguirà una riflessione critica che indicherà alcuni elementi e chiavi di lettura per prendere contatto diretto con l’opera d’arte.

Se il primo indirizzo intende individuare i passaggi nodali del messaggio artistico attraverso i secoli, sia attraverso una visione sincronica – sinottica dei linguaggi, sia diacronica, la lettura più propriamente critica presenta una disamina “trasversale” dei linguaggi artistici analizzati, approfondendo la  lettura diretta dell’opera attraverso una semantica che indaga i segni percettivi dell’opera unitamente all’intenzionalità del messaggio artistico (una lettura che potremmo riportare in sostanza alle categorie interpretative iconografiche e iconologiche).

Dato che, secondo il modello teorico diGadamer, l’analisi dell’oggetto storico deve far interagire circolarmente ciò che l’oggetto ci rivela di sé e la situazione interpretativa dello storico, i saggi e le pubblicazioni (o indicazioni bibliografiche) andranno a costituire quel panorama storico-critico di fondo che servirà a orientare e porre in un orizzonte definito gli strumenti offerti dai due preliminari percorsi critici, espressi negli editoriali e nei seminari.

Infine vogliamo presentare una tematica cui verrà rivolta un’attenzione particolare: l’arte ambientale, intesa come rapporto dell’opera col suo contesto, ma anche di un ambiente esteso (storico, sociale, antropologico) con cui l’opera si misura. Questo indirizzo di ricerca deriva dalla riflessione maturata nell’analisi dell’arte della Veduta, grazie a un particolare approccio ermeneutico che ha permesso di evidenziare in particolare nella prassi pittorica di Bernardo Bellotto, la prima forma di rappresentazione scientifica (nel senso metodologico) di quello che potremmo definire il “genius loci”, il carattere ambientale, appunto.

Se in questa sezione verranno approfonditi gli elementi semantici che guidano alla lettura di tale arte, l’attenzione dedicata al territorio da parte della sezione divulgativa, e più ancora la proposta di opere performative della sezione progettuale, offriranno altri stimoli e strumenti per comprendere e meditare questo fondamentale indirizzo artistico.

Ma vorrei soffermarmi ancora un momento sulla portata progettuale propria di questa proposta. Se scopriamo con Heidegger il valore rivelativo, fondativo dell’opera d’arte, che “crea, inaugura, apre un mondo”, Pareyson ci pone di fronte anche al problema della formatività dell’opera d’arte: che ruolo ha l’autore, e come realizza l’opera? Nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, come ha espresso Benjamin, che necessità in effetti si ha più dell’autore? La risposta più esaustiva, a mio avviso, sta proprio nella progettualità, cioè nella portata inaugurale, fondativa, che l’opera d’arte sancisce, e mette in pratica grazie all’autore.

Quello di cogliere la portata progettuale del messaggio artistico è appunto l’obiettivo ultimo e più alto che questa rivista si pone, attraverso una nuova proposta ermeneutica all’interno dell’orizzonte storico-artistico.