Il Seicento e il Barocco: un gioco di spazio e forme

di Marco Marinacci

Il Seicento si apre all’insegna di una teatralità della scena storica. Nell’anno in cui scocca il nuovo secolo va anche in scena un macabro spettacolo: l’esecuzione di Giordano Bruno. In esso sono già fatalmente presenti alcuni degli elementi costitutivi del Seicento: una sempre più ostentata politica secolare della Chiesa cattolica, che avrà come suo primo organo di potere il Tribunale dell’Inquisizione, cui si oppone un’altrettanto strenua volontà scientifica, che sfocerà nel Razionalismo (basta ricordare nomi come quello di Galileo Galilei, se non di Tommaso Campanella); e la spettacolarizzazione del potere stesso, che in questo momento è detenuto dalla Chiesa. Un potere che cerca ora un suo palcoscenico deputato, e lo trova, nella città di Roma.

Tutto ciò in Italia è dovuto sia al portato sul pensiero religioso della complessa riflessione avvenuta all’interno della Chiesa con il Concilio di Trento, sia alle ripercussioni sul sentire sociale diffuso, derivanti dal lungo periodo di pace generato dall’accordo siglato ancora nel 1559 a Cateau-Cambrésis. Pace che, se da una parte donerà alla penisola un secolo quasi ininterrotto di non belligeranza (1), sotto la tutela politica ufficiale della Spagna, dall’altra la spingerà sempre più ai margini dello scacchiere europeo, lasciandole come unica vera guida, l’autorità papale. La Spagna si dimostrerà infatti ben presto incapace di reggere da sola le sorti italiane, sotto la spinta francese che si fa sempre più forte, tanto che la prima metà del secolo vede ribaltarsi le posizioni tra le due nazioni. La Chiesa romana rimane allora l’unica autorità investita del potere necessario per traghettare la politica europea fuori da uno scenario che presentasse la Germania come nuova prima potenza. La Guerra dei trent’anni non fece che rafforzare ancor più il potere secolare della Chiesa, che non si fece certo sfuggire l’occasione di presentarlo nella sua massima espressione: il Barocco.

In effetti si deve però preliminarmente precisare che il Seicento (sempre inteso in senso lato, come unità di tempo compiuta) mostra due diverse anime, che trovano espressione nell’arte: quella barocca e quella naturalista. I tratti comuni alle due poetiche sono molti, e non vanno quindi intesi come qualità specifiche di una o dell’altra- cosa che ha ingenerato non pochi abbagli critici, che vedevano derivazioni e paternità alquanto oscure e ambigue tra le due – ma si devono considerare caratteristiche del Seicento tutto, fatte poi proprie, in maggiore o minore grado, da ciascuna di esse.

Facciamo il caso della “meraviglia”. E’ stata spesso letta come concetto barocco, ed è corretto, se la si intende nel suo valore di forma retorica che appartiene al linguaggio, quello letterario, così come quello figurativo e musicale. Ma questo concetto partecipa di un’altra idea che pervade più in profondità il secolo: la volontà di comunicare direttamente e con ciascun individuo, lettore, spettatore, uditore che sia. Perso il rapporto diretto con la divinità (e siamo nell’Umanesimo), perso quello con l’uomo-eroe che poteva essere ammesso tra gli dei (e siamo nel Rinascimento), non resta che parlare all’uomo. Un uomo che si ritrova ora, con il Seicento, ad essere solo sulla Terra. Questo se non riesce a comunicare con gli altri uomini, terreni come lui; ed è pensiero naturalista. O se non prende parte alla comunità sociale, civile e religiosa; ed è pensiero barocco.

Da qui la volontà di destare “meraviglia”, stupore, che però, appena entra nell’orbita del Naturalismo, si chiamerà “attenzione”, là dove un giovane Bacco, tirando su un lenzuolo che stava alla bell’e meglio a coprire l’umile giaciglio, scopre l’artificio di una scena creata solo per esser dipinta da un giovane pittore di cui si sa ancora poco, tranne che viene da Caravaggio. E si chiamerà “empatia”, quando sui pellegrini, accanto a una Madonna di borgata, si scorgeranno gli stessi abiti malconci, la stessa polvere nelle pieghe della pelle, di coloro che, lì ora, sotto la grande pala dipinta qualche anno dopo dallo stesso artista, anche lui ormai segnato dalla vita, sono giunti fino a Roma, in Campo Marzio, per pregarla. E si chiamerà infine “trasporto”, quando dovrà sostenere il peso di un corpo colpito dalla tragedia della morte, ancor più se quello di una Vergine che porta in grembo il Mistero (2).

Saranno altre invece le parole, per il Barocco, in cui si trasforma quella di “meraviglia”: parole come “attrazione”, “sensualità”, quando toccheranno la pelle fatta di marmo delle statue di Bernini; o “sospensione”, “vertigine”, quando si immergeranno nei gorghi d’aria delle cupole barocche, come sa bene chi guarda “di sotto in su” la grande pagina affrescata da Andrea Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio. O ancora “eros”, se solo immagina di toccare la fragranza esuberante delle carni di Rubens. Una dinamica retorica, quella barocca, cui si aggiunge e aderisce completamente, quella sensoriale.

Un’idea principe quindi, quella della meraviglia, che attraverso l’alambicco del Naturalismo sublima in luce, e attraverso il setaccio del Barocco dà una polvere tanto sottile da sollevarsi in vortici d’aria o da formare nuove statue di caolino purissimo. Due diversi modi di voler comunicare a quel nuovo uomo apparso sulla Terra dopo la fugace stagione dell’umanesimo, con nuove verità da esplorare (meglio se forniti di cannocchiale), una nuova fede da provare (borromaica o tridentina), una nuova identità da trovare (ma il cogito ergo sum è solo a un passo). Solo che il Naturalismo, di stiaccia padana, vale a dire di credo borromaico, intende parlare con l’individuo da pari, il Barocco, di indole riformata, sceglie il pulpito.

Nel caso della “meraviglia”, allo stesso significato esteso della parola, derivante da un’unica volontà espressiva “primaria” che permea il XVII secolo, in realtà vediamo corrispondere, nelle due diverse poetiche, due differenti semantiche, che danno luogo a loro volta a due precise e individuate volontà espressive, che potremmo in tal senso definire “derivate”.

Lo stesso vale per molti altri casi, in cui elementi espressivi subordinati sono stati scambiati per la volontà espressiva principale. Oltre agli elementi sintattici, come elementi espressivi subordinati, vanno poi considerati anche i motivi iconografici e iconologici, cui afferisce un elemento quale la “meraviglia”, appunto, che non rendono conto da sé dell’intera volontà espressiva principale (3).

Ma è successo anche che le stesse volontà espressive delle due poetiche (quelle che definiamo “derivate”) siano state confuse e identificate con quella originaria. Uno degli esempi più emblematici in tal senso è rappresentato dalla lettura fuorviante che a lungo è stata data della volontà, comune alla poetica naturalista e a quella barocca, di introdurre elementi di straordinaria originalità, a volte di vera e propria “rottura”, nel proprio linguaggio.

Ciò derivava in realtà da una superiore volontà espressiva (quella che abbiamo definito “primaria”, legata non a una singola poetica, ma allo “spirito del tempo”, se così si può dire) che intendeva rispondere alle nuove istanze individuali e sociali, presentando un linguaggio adatto ad esse. Sappiamo infatti quanto all’inizio del Seicento in Italia sia la ricerca identitaria individuale, sia quella sociale, si fossero fatte sempre più pressanti, spinte dalla consapevolezza di una crescente marginalità della penisola rispetto agli “eventi centrali” della storia. Mentre infatti nelle altre nazioni europee cala sulla scena una storia di stampo comunitario e partecipativo, nel paese si assiste come mai prima a una crescita esponenziali delle ricerche di carattere “personale”, non assoggettate ad alcuna ragione di stato, se non la propria interiorità, di cui l’arte, somma espressione, dà prova. E’ infatti questo il momento del maggior numero di committenze, soprattutto religiose, mai registrato in Italia; e l’Italia in questo momento vuol dire Roma.

Una tale nuova volontà espressiva, prevedeva però, nelle due diverse declinazioni poetiche, elementi espressivi assolutamente differenti: se per il Naturalismo ciò significava ad esempio un nuovo uso della luce, che verificasse il dato naturale, comportando peraltro anche una profonda rimeditazione dell’idea stessa di mimèsis, per il Barocco voleva dire apportare nuove formule e artifici retorici, appartenenti alla dinamica musicale e del gioco (4).

Tanto non è però bastato, perché la critica storica dell’arte non legasse questa volontà innovatrice del linguaggio, seppure declinato in due poetiche così differenti, come una cifra espressiva prettamente barocca, tanto che perfino la poetica luministica di Caravaggio è stata spesso associata al Barocco.

Per tornare a comprendere lo spirito dell’epoca, riportiamo le parole di un pensatore che l’ha vissuto, Francesco Algarotti, certi potranno precisare meglio la kunstwollen che si nasconde dietro la ricerca inesausta di innovazioni e artifici retorici: «la vera regola è il saper rompere le regole a tempo e a luogo, accomodandosi al gusto corrente e al gusto del secolo».

Ma ora, per addentrarci nei territori del Seicento, dobbiamo inseguire più a fondo la poetica barocca, la via principale che ci permette di entrare pienamente nel nuovo secolo. Infatti, se è vero che in termini cronologici il Naturalismo appare come la prima soglia per accedere al XVII secolo, in termini linguistici (di affinità espressiva, potremmo dire) è il Barocco a fissare la rotta.

Se infatti il Naturalismo prosegue quella “linea di luce” derivata ancora dalla quattrocentesca volontà di adesione al visibile di origine nordica, che varcherà poi di molto i confini del secolo, proprio per inseguire quell’idea di mimèsis attraverso l’uso della luce, spingendosi fino all’Impressionismo, ma soprattutto presenta, proprio perché intimamente legato al dato luministico, sempre anche un connotato trascendentale, il Barocco fa invece propria una nuova concezione di spazio e di forma che conferma un’idea terrena, umana, fermamente ancorata alle conquiste rinascimentali, e in particolare proprio al momento dell’apogeo, raggiunto dal vertice della “piramide del Rinascimento” (basti guardare alle cupole dipinte da Correggio e Parmigianino, se non all’elemento aereo di Leonardo). Da quel vertice prosegue il cammino del Barocco, rivelando la vera natura del XVII secolo.

Se il Naturalismo, potremmo dire con altre parole, rientra in un ampio respiro dell’arte che, grazie alla luce, inflata atmosfere divine, il Barocco, circoscritto spazialmente e ben delimitato temporalmente, si concentra sul palcoscenico terreno. Se la scena è chiaramente Roma, l’arco temporale è ben più breve di quanto molti storici abbiano in passato creduto di vedere, perché, analogamente a quello rinascimentale, il sipario del Barocco si chiude con la morte del suo protagonista, Bernini, anche se le Parche hanno per lui tessuto un filo più lungo, che si spezza quasi cinquant’anni più tardi di quello del divino predecessore, Raffaello. Ma dopo il 1680 non saranno date ulteriori concessioni alla poetica barocca, e la corrente che la seguirà, il Rococò, spesso letto in termini stilistici come una sua prosecuzione, in realtà vi si adatterà come l’edera alla quercia, esattamente come già la Maniera al Rinascimento.

Non intendiamo ora addentrarci in una disamina metastorica che dovrebbe presentare, per poter essere considerata di un qualche interesse scientifico, abbondanti integrazioni critiche (5) – e che verrebbe necessariamente qui affrontata con argomentazioni riduttive e superficiali -, ma desideriamo, in questo numero, quantomeno precisare le ragioni per le quali il momento del Barocco si presenta come la porta d’accesso privilegiato per il XVII secolo.

Già dai primi anni del Seicento viene messa in campo la più impressionante macchina bellica che l’arte abbia fino allora conosciuto: non è solo il numero di committenze a crescere enormemente, in seguito all’esigenza da parte della Chiesa cattolica di comunicare la nuova ortodossia generata dal concilio tridentino, ma la volontà stessa della committenza a inserirsi nelle questioni iconografiche, con la creazione e il suggerimento di nuovi motivi espressivi, e iconologiche, fino al totale vaglio dei contenuti da parte dei teologi.

In effetti già alla metà del secolo precedente l’epistolario che corre tra Michelangelo Buonarrotti e Vittoria Colonna ci riporta la vastità e la profondità della riflessione teologica che prende forma nel Concilio, e ci si poteva ben attendere il florilegio di nuove tematiche e modelli espressivi che scaturirà al volgere del secolo, quale la rinnovata attenzione per il culto mariano, in aperta polemica con la svalutazione protestante. Il pensiero teologico si concentra allora sull’episodio dell’Assunzione della Vergine, e il Barocco ne diventa la diretta espressione: nuvole di vapore in sospensione si fissano a campire ogni angolo di cielo che la Vergine nel suo viaggio deve attraversare, a puntellare il peso di un corpo certamente pronto al richiamo divino, ma ancora memore del suo passaggio terreno, come sa bene Giovanni Lanfranco, che lo accompagna nel suo elevarsi attraverso la cupola di Sant’Andrea della Valle

Ecco già presentarsi, in due parole, il nuovo decalogo cui dà voce il Barocco: la forma e lo spazio. Forma che vuol dire prima di tutto corpo, con la sua estesa, intensa sensorialità, ma anche materia: quella del marmo che lievita eroticamente sotto le mani plasmanti dello scultore; della pittura che si inerpica sulle quadrature, che si gonfia nei panneggi, nelle vesti, ad abbracciare quei corpi sempre sul punto di essere denudati dall’aria che vi vortica intorno; e infine l’aria stessa, la materia di un’atmosfera struttiva che si addensa in solide masse, e fa corpo a sé.

Un’atmosfera mai vista prima, che genera un nuovo spazio, tanto denso da generare una pressione che non può più arrestarsi di fronte al piano pittorico, o intorno al contorno scultoreo di una statua, ma tutto ghermisce, in una vorticosa danza centrifuga di nuove forme, che scala le quadrature dipinte, si inerpica sulle sculture marmoree, fino ad abbarbicarsi all’architettura, in un nuovo “gioco” di spazio e di forme, che per la prima volta è osmosi di natura tra le arti ¹⁰.

Un “gioco” che saprà trasformare l’incontro di forme, architettoniche, scultoree e pittoriche, in un primo momento di un’unità ambientale. Momento da cui scaturisce per diretta discendenza genetica tutta quella proliferazione stilistica che prenderà svariati nomi a seconda delle inclinazioni culturali che la faranno propria, a partire dalla Secession, per passare attraverso lo Jugendstil, l’Art Nouveau, il Modernismo, fino all’esterofilo e “consumista” Liberty: consumista ab origine, s’intende, perché nome derivato all’Italia nientemeno che dalla marca di un negozio di Londra. Ma ancor più quel “gioco” manifesterà la volontà di un “pensiero comune” che avrà esiti molto diversi, come nell’Arts and Crafts, fino a raggiungere un vertice assoluto nel Bauhaus ¹¹.

Un decalogo, si diceva, quello barocco, che tutti gli artisti a lui fedeli rendono confessione personale, a cominciare da Gian Lorenzo Bernini, che ne sancisce lo statuto scultoreo; da Francesco Borromini, che ne presenta le regole architettoniche; da Pietro da Cortona, che ne stabilisce la corrispondenza, quasi di canone musicale e da allora in poi indissolubile, nelle tre arti; e infine, ma primo fra tutti, Pieter Paul Rubens, che estende alla partitura pittorica un’orchestrazione di assoluto virtuosismo cromatico e di erotica tattilità.

Primo, Rubens, proprio perché riesce a dare massima espressione e libero sfogo a tutta la dinamica dei sensi, in quanto è là, nei territori della sensorialità, che si dipana la vera anima del Seicento, come annuncia il grido del Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio.

Allora, in una Venere al bagno che protende le sue grazie tra Tiziano e Manet ¹², lasciandole fluire sui capelli screziati, sulle gemme incastonate alle carni, sulle luci di pastosità cangiante, fino a consegnarle all’eros delle prensili ombre, si profonde un’estasi sensoriale. Il culmine toccato dai sensi, che, grazie al ponderato gioco di specchi, si raccoglie tutto in un unico momento ¹³, là dove appaiono ormai indissolubili, la loquacità sensuale dello sguardo, il turgore rubicondo della pelle che trattiene a stento l’ipertrofia della carne, la sonorità del vetro molato, in cui si rifrange con sublimi rimandi di luce l’immagine di una epifania del desiderio amoroso, fino al profumo d’ebano della cornice che si mescola a quello di un giovane corpo di donna, e si apre all’infinito.

Questo, il gioco dei sensi, che gravitano nello spazio, e prendono forma attraverso il pennello di Rubens.

Ma, la figura del fiammingo, e la sua eredità, Antoon van Dyck in primis, pone in evidenza anche un altro aspetto del Barocco: quello di essere l’ultimo stile unitario per l’intera Europa. Già la stessa derivazione della parola Barocco, per alcuni proveniente dallo spagnolo barrueco, per altri dal francese baroque, presenta da subito un carattere sovranazionale. Tuttavia proprio l’etimo incerto ha portato più spesso a un abuso che a un suo uso proprio, per descrivere e comprendere la natura della poetica artistica a esso riferita. Se il termine spagnolo barrueco, che identifica la perla scaramaza, la cui irregolarità, paragonata alla perla sferica e perfetta che è motivo iconografico ricorrente del Rinascimento, tanto da divenirne simbolo, starebbe proprio a segnare la distanza venutasi a creare tra l’estetica barocca e la perfezione formale raggiunta dalla poetica che la precede, l’etimo francese baroque, che significa “bizzarro, stravagante” ne conferma l’accezione negativa, che ha gettato un’ombra interpretativa sull’intero momento artistico.

Entrambe le letture hanno infatti lungamente fuorviato un pensiero critico e negato il necessario approfondimento, che può derivare solo da una analisi imparziale della poetica e da una ponderata “distanza interpretativa”. Oggi l’etimologia che in tal senso trova maggiore convalida critica, almeno per il segno interpretativo cui conduce, sembra essere invece baroco, termine col quale si designa la seconda figura propria del sillogismo aristotelico, ripreso poi anche dalla filosofia scolastica, che è stato assimilato alla espressione della lingua barocca per un grado altrettanto elevato di complessità formale, ma che trova conferma soprattutto per l’analogia semantica che gli appartiene: la retorica. Una retorica intesa come sviluppo e forma del linguaggio ¹⁴, che diventa il costituente primo del Barocco.

Se infatti l’elemento sintattico del linguaggio rinascimentale cui gli artisti barocchi guardano – basti l’esempio di Correggio e Parmigianino – è parte di un canone, per il Barocco diventa elemento a se stante, che può essere di volta in volta “estratto”, per poi rientrare a pieno titolo in una simbologia allegorica (propria della retorica) di altro segno. La voluta della facciata della chiesa, che è elemento preciso nel canone linguistico di Leon Battista Alberti, può così essere trasformata in elemento stilistico da Andrea Amati, che lo “stacca” dal Duomo di Cremona, per inserirlo nel legno, dando così vita al primo violino.

Sarà in questo modo che gli elementi propri della retorica barocca, come il gusto per la “meraviglia”, l’idea di “metamorfosi” universale della realtà, l’illusione del sogno, il concetto di “imitazione”, che viene interpretata come “finzione”, il relativismo della verità, lo sperimentalismo e l’artificio linguistico, la “forma aperta e libera”, che porta a una sintassi spezzata e discontinua, la quale trova senso compiuto solo quando viene a legarsi a una superiore unità stilistica, elementi tutti che troveranno espressione di volta in volta nel concettismo, nel marinismo, nell’eufuismo, nel preziosismo e nel secentismo delle varie correnti nazionali, in quanto modi efficaci di visualizzare il concetto, la musica (con l’oratorio o la musica sacra), potranno giungere al ‘700 inoltrato, col Barocchetto e col Rococò, seppure declinati in forme pedisseque e sterili.

Forse è oggi nell’idea di museo, come luogo d’elezione di una nuova dinamica partecipativa, che veda l’arte al centro della scena, per comunicare un messaggio attuale di ampia portata culturale e antropologico, che la semantica barocca può invece trovare la più ferace e viva espressione.

Note

1) – ricordiamo come unica rilevante eccezione la rivolta capeggiata da Masaniello a Napoli, con sorte ben diversa dalle analoghe insurrezioni avutesi in Inghilterra o in Olanda.

 2) – si allude naturalmente al Bacco degli Uffizi, alla Madonna dei Pellegrini e alla Morte della Vergine di Caravaggio.

 3) – i primi sono i cosiddetti elementi sintattici: ad esempio l’elemento colore, l’elemento linea, il segno pittorico, che fanno parte della frase, che nelle arti figurative è l’opera, il dipinto, la scultura, nel suo insieme. Oltre agli elementi sintattici, come elementi espressivi subordinati, vanno poi considerati anche i motivi iconografici e iconologici, cui afferisce un elemento quale la “meraviglia”, appunto, che non rendono conto da sé dell’intera volontà espressiva principale. Quest’ultima, o kunstwollen, è invece un indirizzo espressivo che trascende la poetica stessa di un autore o una corrente artistica, in quanto non appartiene mai direttamente a una specifica poetica, ma all’insieme del contesto storico (culturale, sociale, antropologico) da cui tale poetica deriva.

4) – nel senso che ne dà Hans-Georg Gadamer, di sfera culturale e di senso proprio e conchiuso.

5) – pensiamo, per esempio, per la tematica in oggetto, a una originale teoria iconologica attuale, che individua nel percorso storico dell’arte una ricorsività di tendenze conseguenti e opposte, dove a una linea “positiva”, in cui domina l’elemento apollineo, viene a contrapporsi una “negativa”, in cui invece prevale quello dionisiaco. Un’interpretazione simile è stata evocata dallo stesso Nietzsche ne La visione dionisiaca del mondo, in “Due conferenze pubbliche sulla tragedia greca”, a cura di F. Desideri, Newton, Roma, 1993: estrapolando la teoria nietzschiana, sulla prima linea si svilupperebbe il Rinascimento, e, di seguito, ciclicamente, il Barocco; alla seconda la Maniera, così come la luce che diventa colore carnale di Tiziano, e poi il Naturalismo, che prende spunto dall’odore delle carni, nella Macelleria di Annibale Carracci, e, fin troppo chiaramente, nella grande pagina di Caravaggio.

6) – si allude naturalmente al Bacco degli Uffizi, alla Madonna dei Pellegrini e alla Morte della Vergine di Caravaggio.

7) – primi sono i cosiddetti elementi sintattici: ad esempio l’elemento colore, l’elemento linea, il segno pittorico, ecc… che fanno parte della frase, che nelle arti figurative è l’opera, il dipinto, la scultura, ecc… nel suo insieme. Oltre agli elementi sintattici, come elementi espressivi subordinati, vanno poi considerati anche i motivi iconografici e iconologici, cui afferisce un elemento quale la “meraviglia”, appunto, che non rendono conto da sé dell’intera volontà espressiva principale. Quest’ultima, o kunstwollen, è invece un indirizzo espressivo che trascende la poetica stessa di un autore o una corrente artistica, in quanto non appartiene mai direttamente a una specifica poetica, ma all’insieme del contesto storico (culturale, sociale, antropologico, ecc…) da cui tale poetica deriva.

8) – nel senso che ne dà Hans-Georg Gadamer, di sfera culturale e di senso proprio e conchiuso.

9) – pensiamo per esempio, per la tematica in oggetto, a una originale teoria iconologica attuale, che individua nel percorso storico dell’arte una ricorsività di tendenze conseguenti e opposte, dove a una linea “positiva”, in cui domina l’elemento apollineo, viene a contrapporsi una “negativa”, in cui invece prevale quello dionisiaco. Un’interpretazione simile è stata evocata dallo stesso Nietzsche ne La visione dionisiaca del mondo, in “Due conferenze pubbliche sulla tragedia greca”, a cura di F. Desideri, Newton, Roma, 1993: estrapolando la teoria nietzschiana, sulla prima linea si svilupperebbe il Rinascimento e di seguito, ciclicamente, il Barocco; alla seconda la Maniera, così come la luce che diventa colore carnale di Tiziano, e poi il Naturalismo che prende spunto dall’odore delle carni, nella Macelleria di Annibale Carracci, e fin troppo chiaramente la grande pagina di Caravaggio.

10) – non per niente il barocco darà la prima unità lessicale delle tre arti, non più separabili.

11) – in questa chiave lo intende un artista contemporaneo come Gianni Brusamolino: si veda in tal senso l’intervista nella sezione Progetti di questo numero della rivista.

12) – l’influenza di Tiziano sul pittore di Anversa – intesa come vera patria, e non Siegen o Colonia, in quanto è lì che apprende la cultura umanista che gli permetterà di comprendere così a fondo l’arte italiana – è risaputa, tanto che si parla di “somiglianza specchiata” tra alcune opere dei due maestri. Ciò sarebbe dovuto al fatto che il pittore fiammingo copiava la pittura del veneziano non attraverso una ripresa diretta dalle sue pale, ma con un artificio che presenta già tutta la dinamica del linguaggio barocco: era un amico scultore dell’artista, Georg Petel, a creare delle sculture partendo appunto da dipinti del Tiziano, che solo allora, entrando nello spazio tridimensionale proprio al barocco, potevano essere riportate in pittura da Rubens. Ma c’è un’ipotesi ancora al vaglio degli studiosi che sembra anche più suggestiva e densa di significati: Petel non sempre partiva dalle opere del maestro veneto, ma si avvaleva a sua volta delle serigrafie dell’amico e maestro Ponzius, il quale riprendeva l’opera di Tiziano, che trasferita nella matrice serigrafica, una volta stampata, veniva inevitabilmente ribaltata. In questo modo veniva a operare una doppia dinamica, che dava modo a tutta la retorica barocca di compiersi al massimo grado, includendo non solo la volontà di unità scenica, ma anche il meccanismo della metamorfosi, del doppio, della relatività della verità, ecc… Di Manet è chiaro invece il riferimento all’Olympia.

13) – per comprendere quanto questo gioco si ripresenti in chiave contemporanea, nel famoso film L’anno scorso a Marienbad, un raffinato Alain Resnais grazie al superbo controllo della dinamica cinematografica in una reinterpretazione della lettura barocca, l’ha riportato in forma di “memoria sensoriale”.

14) – si legga sempre per “linguaggio” l’insieme dei segni che appartengono tanto all’universo letterario quanto a quello figurativo.